mercoledì 18 novembre 2020

Tipo Magda

Mi sento come Magda. 

Non ce la faccio più.

Il licenziamento, il lavoro che  non trovo, la pandemia, tutto.

Sono esausta. 

Stare a casa senza uno scopo.

Studiare per un concorso che non vincerò mai.

I bambini che mi monopolizzano, la solitudine, l'ansia.

Non avere tempo per le mie cose, la piscina, il cinema, la birra delle 18 al pub sotto casa, le amiche (sì, lo so, è cosa comune in questo periodo).

Sono esaurita, mi sento vuota, stanca, triste.

Passerà.

Passerà?

 

domenica 19 aprile 2020

Poramamma in quarantena

La prendo alla lontana, mi sono resa conto che non scrivo da un anno. 
Come passa in fretta il tempo quando ci si diverte, signora mia!

Lo scorso ottobre sono stata licenziata.
Qualche mese prima il Consorzio per cui lavoravo ha perso un'importante commessa a Roma e ha comunicato a me e a una trentina di colleghe e colleghi il trasferimento coatto presso la sede centrale di Bologna. 
Ci hanno trasferiti in massa, donne incinte, genitori di bimbi sotto i tre anni, gente che accudiva familiari con gravi patologie, a più di 400 km da casa, senza possibilità di appello. 
Con due bimbi che all'epoca avevano un anno e spicci, per me quella lettera è stata di fatto un licenziamento.
Mi sono rivolta al sindacato, ho impugnato il trasferimento e a Ottobre sono stata licenziata. La mia vertenza è insieme a tanto altro ferma per il lockdown.

"Se non altro potrai goderti i tuoi cuccioli", mi sono sentita dire.
Perché a quanto pare, nonostante i progressi della scienza e della tecnica, ancora non pare essere chiaro a tutte/i che per una donna, ancorché madre, il lavoro non è un capriccio, un hobby che può essere messo da parte senza drammi per fare “la mamma a tempo pieno”. 

Lavorare mi manca tantissimo. Nonostante facessi un lavoro di merda.

Comunque, a quel tempo i miei figli (gemelli) andavano al nido e passato un momento di completo sconforto, ho cominciato a cercare un nuovo lavoro e –orrore! Certe cose una mamma non le deve dire mai!- a a fare cose che con la loro nascita avevo abbandonato. Robe banali, tipo la piscina e il cinema sola una volta a settimana, magari con una birra scura prima di tornare a casa.

Poi è arrivato il virusdemmerda.

Nido chiuso.
Tutti a casa con mamma.

E per l’ennesima volta da quando ho fatto le prime beta, qualcun* è accorso per spiegarmi come devo comportarmi e cosa devo pensare per non essere una madredimerda.
Una brava madre non si deve lamentare mai.

Non hai tempo per cacare in pace?
“Allora non dovevi fare figli.”

Sogni di farti una doccia come Cristo comanda, con l’acqua bollente in testa per più di cinque minuti?
“Allora non dovevi fare figli.”

Ti sei stufata di fare lavatrici, preparare pranzi e cene, pulire cessi, passare aspirapolvere?
“Allora non dovevi fare figli.”

E se per caso in un momento di scazzo ti esce un “aridateme il nido!”, non solo “allora non dovevi fare figli”, ma sicuro come la cacca dopo  il caffè arriva qualche stronz* a dirti che “vuoi il parcheggio”.

Se poi siamo madri disoccupate siamo considerate “da rinchiudere. Senza se e senza ma.” 
Perché a quanto pare una volta che diventiamo madri cessiamo di essere anche persone, con necessità e desideri che non sempre contemplano la presenza della prole h24.

Ecco, no.

Va bene tutto, e con la maternità e la disoccupazione ho imparato a non rispondere a chi rompe i coglioni (più o meno), ma la storia della scuola come parcheggio davvero mi fa uscire di testa.

No, stronz*, non voglio un parcheggio per i miei figli.

Il nido, la scuola, non è un “parcheggio” dove noi madri, addirittura “quelle che non lavorano” vogliamo mollare i nostri figli e figlie per poter andare “tranquille a lavoro/estetista/leggere un libro.

Voglio un posto sicuro, stimolante, adatto a loro dove possano imparare a fare cose nuove e a convivere con bimbe e bimbi.

Se avessi voluto un parcheggio mi sarei risparmiata i soldi della  retta mensile del nido.

Ah, volutamente non mi infilo in un discorso su "se le scuole chiuse chi sta a casa?", perché lo sappiamo tutte e tutti che il lavoro domestico e di cura in questo paese è praticamente tutto e sempre sulle spalle delle donne.

[Tutto quello che è virgolettato mi è stato detto/scritto testualmente.]

martedì 19 marzo 2019

#RegrettingMotherhood*


Lo so, non si dovrebbe mai parlare di un libro senza aver prima finito di leggerlo, ma questo studio di Orna Donath, sociologa israeliana, mi ha colpita sin dalla prefazione.

Donath ha intervistato 23 donne sul loro essere madri. 
Ho trovato non pochi punti di contatto con alcune di loro.


Amo molto i miei figli, ma mentirei se dicessi senza se e senza ma che non tornerei mai indietro.

E non è solo il sacrosanto sfogo dopo ore di lagna o qualche notte insonne, è qualcosa di più profondo che nemmeno io so spiegare.
E nemmeno posso farlo, perché una madre, semplicemente, certe cose non le può nemmeno pensare, figuriamoci dirle ad alta voce.
Non possiamo dire che questo ruolo non necessariamente ci appartiene e spesso non ci basta. 
Non possiamo dire che ci manca la nostra vita di non madri, quando non eravamo "la mamma di", ma donne con i nostri desideri, le nostre abitudini, i nostri interessi.

Se proviamo a parlarne per chi ci ascolta pare quasi di sentire una bestemmia, come se una volta rimasta incinta e dopo il parto si dovesse rinunciare al proprio stesso nome in virtù di qualcosa di più importante, totalizzante, che cambierà per sempre il nostro esserci nel mondo.

Sarebbe interessante se una ricerca simile fosse fatta in Italia, un paese in cui la mistica della maternità si fa sentire prepotente in ogni ambito, anche da parte di certo femminismo che continua a legare indissolubilmente l'essere donna con la capacità (possibilità) di procreare, dove "la mamma è sempre la mamma" . Il paese dei "bamboccioni", della 194 sempre inapplicata, il paese in cui certe femministe ci dicono che i figli se non li fai a vent'anni poi non li devi fare più per non regalare soldi a "big pharma" , il paese dei consultori che chiudono, delle Case delle Donne che vengono sgomberate, il paese della conferenza sulla famiglia a Verona.

Uh, se ci sarebbe da ridere.




*Orna Donath

Pentirsi di essere madri. Storie di donne che tornerebbero indietro. 
Sociologia di un tabù.
Bollati Boringhieri, 2017


mercoledì 13 marzo 2019

Inutili.

L'assessore alla cultura (sì. Assessore alla cultura) di un comune nel mantovano Manlio Paganella ha detto che "si nasce donne fertili, si nasce donne inutili".

Inutili.

Non mi interessa sapere in che contesto abbia detto quella frase, non è importante.
È importante che abbia detto proprio quella parola lì, che per lui sia accettabile usare l'equazione infertile = inutile.

Le donne non fertili sono inutili, incapaci di dare figli alla patria, incapaci di adempiere al solo ruolo che la società ha pensato per loro: essere madri. 
Ed essere, ovviamente, un certo tipo di madri.
Perché per uno che pensa che una donna che non può avere figl* sia inutile, le sole madri accettabili sono quelle che si sacrificano, che si annullano, che vivono solo in funzione dei propri figli e figlie.

Le donne che invece scelgono di non essere madri, ovviamente, non sono contemplate. Quelle devono avere qualcosa che non va, perché le donne, tutte le donne, vogliono essere madri. Devono volerlo!

Quello che mi preme è sottolineare ancora e ancora la parola scelta da Paganella per le donne infertili: inutili.

inùtile agg. [dal lat. inutĭlis, comp. di in-2 e utĭlis «utile»]. – 1. a. Che non dà alcuna utilità o vantaggio: spese i.; quante parole i.!una macchina ormai i., un utensile divenuto i., che è ormai inservibile perché guasto o per altri motivi; stragimassacri i., quelli della guerra, quando non rechino alcuna utilità per la condotta delle operazioni e per la soluzione del conflitto. Riferito a persona: esseresentirsi i.; credo ormai di essere iquila tua presenza è i.; in partic., di chi non è buono a nulla (per incapacità o per inerzia abituale): un collaboratore i.; gente i., di nessuna utilità per il suo ambiente o per la società; bocche i., persone che mangiano il pane a ufo, oziose. b. Superfluo: il tuo avvertimento è i., lo sapevo giàprendere iprecauzioni. Con la negazione, non i., non soltanto utile ma opportuno, necessario: raccomandazioni non i.; non sarà iricordareripetere, e sim. c. Inefficace, che non produce il risultato voluto o sperato, che rimane senza effetto: rimedî i.; la cura si è dimostrata i.operafatica i.; un viaggio i.; i miei sforzi sono riusciti i.con luiogni discorso è i.; rimproveripreghiereminaccetutto fu inutile2. Sostantivato con valore neutro, in funzione di predicato nominale di una prop. soggettiva: è iche t’affanni tantoè idirglielotanto continuerà a fare di testa sua. In frasi assolute, esprime scoraggiamento, o rassegnazione di fronte a cosa che appare inevitabile, a una situazione che non può esser mutata: è i., non ce la faccio piùè i., non ci riuscirete maiè i., bisogna sopportarlo! ◆ Avv. inutilménte, senza alcuna utilità, senza risultato: spendere inutilmente il proprio denarosprecare inutilmente il tempotentareparlarearrabbiarsi inutilmente.

Inservibili, incapaci di dare qualche vantaggio, superflue, buone a nulla, inefficaci.


Io ho avuto due bimbi nati con la PMA e nei centri dove sono stata con mio marito ho incontrato tante coppie, alcune tristi, sconsolate, rassegnate. Ho parlato con altre donne e tutte noi avevamo qualcosa da dire sul nostro essere lì. Alcune l'hanno presa molto male, altre, come me, erano più fataliste, altre ancora talmente tanto motivate da farti pensare che ce l'avrebbero fatta sicuramente.

Quello che ho imparato è che per chi vuole avere figl* la difficoltà e a volte l'incapacità di riuscirci non è una notizia che si accoglie con calma gioiosa. 

C'è chi il "lutto per la mancata genitorialità biologica" (lo chiamano così quando non riesci a far figli "normalmente" o con l'aiuto della PMA) non riesce a superarlo mai. 
E certo sapere che la società ti giudica inutile non è proprio un grosso aiuto.

Dicono che questa uscita (infelice parecchio, ma non nuova né isolata nel panorama politico del paese) sia "roba da medioevo".

No, non è medioevo, è violenza.

Dire ad una donna che se non fa figl* è inutile è violenza.
Vuol dire negarle dignità di esistenza al di fuori di un ruolo che non tutte vogliamo ricoprire.

Ribelliamoci anche a questa violenza, alla violenza di una società patriarcale e maschilista che ha pronta a per noi una vita già scritta, che ogni giorno ci umilia, ci deride, ci sminuisce e che da noi si aspetta anche un "grazie".



giovedì 7 marzo 2019

Non UPAS di meno

Ogni volta che sui social mi capita di commentare una puntata di UPAS o che ne parlo in qualsiasi contesto, molte persone storcono il naso: 
"Ma come? Guardi UPAS? Ma è una stronzata" Fai tanto l'impegnata e poi guardi le telenovele."

E invece UPAS è tutto fuorché una stronzata e le persone migliori che conosco non ne perdono una puntata.

Negli anni UPAS ha trattato diversi argomenti di attualità con chiarezza e semplicità senza indulgere (troppo) nel paternalismo e nei luoghi comuni, raccontando ad un pubblico estremamente variegato un mondo che probabilmente gli era sconosciuto.

Si è parlato di prostituzione, di tratta, di aborto, di violenza sessuale, di omosessualità, di violenza di genere, di mafia, di immigrazione e lo ha fatto spesso molto meglio della stragrande maggioranza dei programmi "dedicati".

Quindi, in vista dello Sciopero Femminista del prossimo 8 marzo non posso che salutare con gioia il video di Non Una Di Meno Napoli in cui Silvia e Arianna (Luisa Amatucci e Samanta Piccinetti) invitano le donne ad aderire allo sciopero.


mercoledì 27 febbraio 2019

Io non stiro niente. *


Ma è solo un libro delle elementari.
Ma sono solo degli esercizi sui verbi.


E invece no.

Non è "solo un libro delle elementari" che chiede a bimbe e bimbi di eliminare il "verbo NON adatto".
E non è nemmeno un "libro sessista".
In un certo senso è qualcosa di più e di peggio rispetto ad un "libro sessista", perché mette nero su bianco quale siano i ruoli di mamma e papà nella tanto amata "famiglia tradizionale".

 
Il papà lavora e legge, la mamma cucina e stira.
Manco il piacere di un libro, dovesse togliere tempo alla cottura del polpettone.


Ora, non dico che sarebbe stato meglio inserire "lava i cessi" o "guida il camion"  tra le azioni indicate rispettivamente per padre e madre, non è che voglio fare la rivoluzione, ma la scelta di quei verbi lì, di quell'immaginario lì, non è altro che la perfetta descrizione, magari involontaria (voglio essere ottimista), di come il paese ancora veda e voglia uomini e donne.

Pensiamo alle pubblicità: la mamma lavoralavastiracucinafalaspesapreparanutre. E se sta male al massimo si prende una mezz'ora di riposo in poltrona, giusto il tempo che la medicina faccia effetto, mentre il papà fa casino con la prole, dato che evidentemente il pisello rende quasi impossibile essere in grado di cambiare pannolini, spalmare unguenti, preparare cene e non rompere le ovaie ad una poraccia che sta male.


Come si esce da questo loop in cui nonostante si sia scavallato il millennio le donne sono ancora viste come angeli del focolare?

Intanto prepariamoci per lo sciopero del prossimo 8 marzo, poi qualcosa ci inventiamo.







*

domenica 25 novembre 2018

Due volte l'anno.



Due volte l'anno ai maschi chiediamo di stare un passo più indietro.

Un passo soltanto, in occasione di due giornate che per noi sono occasione di lotta come ogni altra, sì, ma che hanno una valenza simbolica diversa, anche in virtù della visibilità che in quei due giorni particolari paiono avere le nostre istanze e rivendicazioni.

Solo un passo. Come quello che è stato chiesto ieri.

Non si è detto "andate via" o "qua non vi vogliamo": la scelta, quest'anno come in anni precedenti, è stata inclusiva, non separatista.
Si è chiesto "per favore", solo 'sto piccolo passo indietro: gli uomini dietro al carro, il corteo delle donne lo aprono le donne, le donne devono entrare per prime nella piazza tenendo il loro striscione.
Mi pare così logico. 
La stessa richiesta che è stata fatta lo scorso anno, speravo che magari stavolta non sarebbe stato un gran problema.

Le donne organizzano una manifestazione contro la violenza sulle donne, le donne aprono la manifestazione contro la violenza sulle donne. 

Lineare, no? Dove sta lo scandalo? Cosa c'è di tanto assurdo e incomprensibile?

E invece.

E invece anche questa volta 'sto cazzo di passetto indietro per moltissimi deve essere parso un'insormontabile scalata in montagna, tra dirupi, ghiacciai e la morte sempre in agguato, data la difficoltà con cui (alcuni) alla fine lo hanno fatto.
Ci hanno tenuto a spiegarci che loro erano lì per noi, per manifestare la loro solidarietà con le nostre lotte e quindi perché mai negargli il gusto di entrare in piazza per primi?
Hanno ribadito il plurale maschile ogni volta che dal carro le compagne parlavano a femminile.
Hanno spiegato perché il separatismo è una cosa brutta, come ci indebolisce, come ci allontana.

Eppure era solo un passo.

Gli abbiamo chiesto di andare qualche fila più in giù.

Ma evidentemente per chi è abituato a stare comodo ai vertici della piramide in virtù del proprio pisello farsi da parte è davvero troppo faticoso.

Anche se lo chiediamo solo due giorni l'anno.

P.S. un abbraccio solidale alla compagna col megafono che per ore ha detto "per favore, gli uomini dietro il camion!". Sembrava così calma, ma sono quasi certa che in realtà stesse ribollendo dentro.