Sì, Meloni ha tutto il diritto di portarsi la pupa a Bali o dove meglio crede.
Ha ragione (che orrore le parole “ha ragione” riferite a Meloni!) quando dice che il modo che lei sceglie per essere madre è solo affar suo.
E però fa sorridere leggere alcune (niente schwa né maschile universale, proprio “alcune” al femminile) applaudire a questa scelta come fa Terragni, parlando addirittura (cito) di “un ottimo auspicio per tutte le madri”.
Quale auspicio per una madre che non gode del privilegio di potersi portare figlə e (presumibilmente) tata appresso (perché non credo che la piccola Ginevra abbia passato ore al tavolo del G20, né sola in albergo)?
Quale auspicio in un paese che quando ə figlə compiono di 3 anni pensa che è tutto finito, non si ammaleranno più, non avranno più bisogno di te e quindi ti “regala” 5 giorni all’anno di permesso (non retribuito) per “malattia bambino”?
Quale auspicio in un paese che si bulla di aver innalzato a ben 10 giorni il congedo obbligatorio per i padri (da usufruire entro 5 mesi, perché poi tanto ci sta mamma)?
Quale auspicio per noi che quando andiamo a fare un colloquio di lavoro ci sentiamo chiedere se abbiamo figlə, se ne vogliamo, come potremmo conciliare le loro vite col nostro lavoro?
Quale auspicio per una madre (perché è inutile essere ipocrita, è della madre, qua, che si parla. Madre di famiglia tradizionale, ovviamente) che non riesce a trovare posto al nido comunale e però deve tornare al lavoro perché uno stipendio serve sempre? O per quelle madri che vengono licenziate in quanto madri e non riescono a rientrare nel meraviglioso mondo del lavoro?
Meloni e Ginevra sono due privilegiate.
Beate loro.
Se proprio vogliamo parlare, parliamo del privilegio, piuttosto.
E soprattutto cominciamo a pretendere di più per tuttə noi.