Qualche giorno fa una donna ha inviato una
lettera aperta alla CGIL per denunciare un episodio sessista durante una manifestazione contro il jobs act.
Vale la pena leggerla tutta.
Se questo è un compagno – Lettera sul sessismo nella Cgil
Vi
chiedo se, secondo voi, è un compagno quello che ieri (16 ottobre),
sventolando con orgoglio la bandiera della Cgil durante il corteo
promosso dalla Cgil Emilia-Romagna a Bologna, si è sentito legittimato a
fermarmi, farmi togliere le cuffie dalle orecchie e chiedermi se la
scelta del colore verde per i miei capelli stesse a indicare che la via
era libera e potessero passare tutti.
Vi chiedo se, secondo voi, è un compagno quello che spalleggiato
dagli altri “compagni”, dall’alto della sua stazza da operaio e dei suoi
cinquant’anni e anche più, si è sentito in diritto di dire a una
ragazza poco più che ventenne che è meglio che non si faccia i capelli
rossi, perché poi attirerebbe troppi tori ed è ancora troppo piccola per
gestire certe cose.
Vi chiedo se, secondo voi, sono compagni quelli che ieri mattina,
mentre attraversavano le strade di Bologna per chiedere che venissero
tenute giù le mani dall’articolo 18, mi fischiavano dietro, mi fissavano
il corpo e, assicurandosi che io potessi sentirli, si dispiacevano ad
alta voce di quanto fosse un peccato che la mia gonna fosse larga e non
potessero vedere la forma del mio culo.
Vi chiedo se sapete che mentre aprite il comizio sul palco di Piazza
Maggiore dicendo “compagni e compagne” e cantate Bella Ciao, in mezzo al
corteo, dei “compagni” tengono simili atteggiamenti, e gli altri non
intervengono, ma alla peggio li supportano.
Mi chiedo per voi cosa significhi la parola “compagn*”.
Forse ormai avete preso l’abitudine a usarla e l’avete svuotata di ogni significato.
Forse sarebbe ora di riempirla di nuovo.
Cantavate Bella Ciao, la canzone simbolo della Resistenza e quindi dell’antifascismo.
Vi chiedo se secondo voi l’antifascismo è antisessismo.
Vi chiedo se quando vi lamentate perché i vostri diritti non vengono
rispettati, comprendete che anche i miei di donna, comportandovi in un
certo modo, non sono rispettati.
Vi chiedo se quando vi lamentate perché siete schiavi dei padroni, vi
rendete conto che ieri avete cercato di far diventare me vostra schiava.
Vi chiedo se pensate che i diritti del lavoratore siano di serie A e
quelli della donna di esser rispettata in quanto tale siano di serie B.
Nel vostro statuto scrivete: “L’adesione alla Cgil comporta piena
eguaglianza di diritti e di doveri nel pieno rispetto dell’appartenenza a
gruppi etnici, nazionalità, lingua, orientamento sessuale, identità di
genere, culture e formazioni politiche, diversità professionali, sociali
e di interessi, dell’essere credente o non credente”.
Ieri la mia identità di genere non è stata rispettata.
Non vi scrivo questo perché voglio fare di tutta l’erba un fascio.
Non credo affatto che nella Cgil tutti siano così, e lo dico perché mio
padre, da operaio, è stato rappresentante CGIL di fabbrica e ora che è
in pensione lavora per lo Spi, e quindi i valori della Cgil li conosco
bene, essendo quelli, tra gli altri, con cui mi ha cresciuta.
Vi scrivo perché penso che questi atteggiamenti maschilisti e
sessisti debbano emergere, perché prendere coscienza che esistono è il
primo passo per poterli combattere e sradicare. E spero proprio che sia
vostro interesse farlo.
Clara Vecchiato
Leggere questa lettera mi ha fatta arrabbiare, ma la cosa peggiore, per me, è che non mi ha stupita affatto.
Il sessismo tra i "compagni" esiste da sempre e viene negato o "difeso" come se si trattasse di simpatiche battute tra amici anche tra i "duri e puri".
«La
prima è una semplice battuta, da prendersi con quattro risate, che non
fa male a nessuno. La seconda, bisogna vedere con quale spirito è stata
pronunciata. In entrambi i casi, chi ne fa un problema politico è fuori
dal mondo. Una volta a battute del genere si rispondeva "per le rime" e
la cosa finiva lì. Anzi, spesso era il battutaro che ci faceva una
figura barbina...»
«Si
possono fare battute. Chi le sa prendere, risponde a tono o incassa.
Chi non le sa prendere, s'incazza. A questi ultimi le battute non si
fanno più. Punto. Nessun problema politico. Ecchecazzo... »
«Ma trovo ridicolo fare di un problema di educazione un problema
politico. Lasciamo la politica a cose un pochettino più importanti, che
di questi tempi ce se stanno a iosa. E' questione di senso delle
proporzioni. »
Questi i commenti di un "compagno", che non crede che il sessismo e le molestie (ebbene sì, anche fare battute sessiste o a sfondo sessuale è una molestia) siano un problema politico, ma solo questione di buona educazione.
La politica è una cosa seria, certo non può occuparsi di questioni simili.
Insomma, dare della mignotta ad una compagna (perché per come la vedo io la battuta sulla "luce verde che fa passare tutti" di quello parla) o dirle che con il suo atteggiamento "se la cerca" (cos'altro sarebbero i "troppi tori" attirati che non si sanno gestire?) non è altro che un modo di fare di qualcuno un po' maleducato, sono cose che andrebbero prese "con quattro risate".
Oppure, se non sai rispondere a tono, "incassa" e al massimo incazzati. Che problema c'è?
Di certo non è un problema politico.
Ci sono cose ben più importanti di questi capricci da femmine bruttine e annoiate.
Per me, invece, questo è un problema politico enorme.
Perché la battuta sessista non è semplicemente una battuta volgarotta e magari mal riuscita.
Le
battute sessiste vengono da un'idea, dall'idea che la donna sia, nei fatti, un essere inferiore.
Il sessimo - lo ripeterò fino alla nausea- è assolutamente trasversale. Non risparmia nessuno e nessuna.
Nemmeno la CGIL, che nel suo
Statuto parla di "
piena
eguaglianza di diritti e di doveri nel pieno rispetto dell’appartenenza a
gruppi etnici, nazionalità, lingua, orientamento sessuale, identità di
genere, culture e formazioni politiche, diversità professionali, sociali
e di interessi, dell’essere credente o non credente".
Ho iniziato a scrivere questo post qualche giorno fa, poi mi sono persa altrove e ho perso un po' il filo.
Volevo
cancellarlo, ma poi ho visto un video, ho letto commenti in merito e ho
pensato di scrivere al volo quello che mi viene in mente così come lo
penso.
Il video in questione è stato postato da
Hollaback ed è stato ripreso da diversi quotidiani on line nazionali.
Una ragazza cammina per strada con una telecamera nascosta che registra le centinaia di molestie ricevute in dieci ore di passeggiata.
Ho letto in rete un lungo scambio di commenti in cui un uomo sosteneva che queste non sono molestie, ma semplice maleducazione, magari dovuta all'ignoranza e al ceto sociale dei molestatori.
La molestia verbale, insomma, non è percepita come un problema.
Eppure a tutte noi capita di continuo di sentirci fare commenti più o meno pesanti ogni volta che camminiamo, dal "ciao bella, fammi un sorriso", al classico "anvedi che culo", fino ad un più spavaldo "fammi una pompa". E a dircelo sono uomini ricchi, poveri, laureati, analfabeti.
Negare che le molestie verbali siano molestie a tutti gli effetti trattandole come "complimenti" o "tentativi di attaccare bottone" non tiene conto di quello che quella molestia può comportare per chi la riceve.
La paura di essere sola, la paura che alle parole possa seguire altro, la paura di uscire di sera, di camminare per certe strade, per certi quartieri. Questo ci limita quasi quotidianamente.
Parlate con le vostre amiche, madri, compagne, sorelle: tutte loro vi racconteranno almeno un episodio di molestia come quelli descritti nel video. E provare anche a chiedere loro come si sono sentite, se hanno avuto paura, se hanno deciso di cambiare strada, di evitare di uscire sole in certi orari e in determinati luoghi, se hanno deciso di cambiare modo di vestirsi quando escono sole.
Le risposte potrebbero sorprendervi.
Street harassment is a form of sexual harassment that takes place in public
spaces. It exists on a spectrum including “catcalling” or verbal harassment,
stalking, groping, public masturbation, and assault. At its core is a power
dynamic that constantly reminds historically subordinated groups (women and
LGBTQ folks, for example) of their vulnerability to assault in public spaces.
Further, it reinforces the ubiquitous sexual objectification of these groups in
everyday life. Street harassment can be sexist, racist, transphobic,
homophobic, ableist, sizeist and/or classist. It is an expression of the
interlocking and overlapping oppressions we face and it functions as a means to
silence our voices and “keep us in our place.”[http://www.ihollaback.org/about/]
La molestia in strada è un tipo di molestia sessuale che ha luogo negli spazi pubblici. Esiste in uno spettro che include in "catcalling" o molestia verbale, lo stalking, le palpate, la masturbazione in pubblico e l'assalto. Il suo nucleo è una dinamica che ricorda costantemente a gruppi storicamente discriminati (donne e persone LGBTQ, ad esempio) la loro vulnerabilità ad essere assaliti negli spazi pubblici. Inoltre, rinforza l'onnipresente oggettificazione sessuale di questi gruppi nella vita quotidiana. La molestia in strada può avere carattere sessista, razzista, transfobico, omofobico, può riguardare un handicap, la taglia o la classe socale. Si tratta dell'espressione della correlazione e della sovrapposizione delle differenti forme di oppressione che abbiamo davanti e funziona come un mezzo per metterci a tacere e "tenerci al nostro posto".