Ho appena finito di (ri)vedere "Il Corpo delle Donne", documentario di Lorella Zanardo e Marco Malfi Chindemi.
Il punto di partenza è facile: la sovraesposizione del corpo femminile -di un certo tipo di corpo femminile- in televisione.
E' facile vedere come la donna sia stata ridotta -e si autoriduca, come dice il documentario- a "cornice muta", a puro e silenzioso oggetto sessuale.
Lo si vede ovunque, dalla trasmissione di cucina, alla pubblicità del formaggio: quelle che passano sono immagini di una donna procace, sessuale, allusiva, a volte volgare, spesso dichiaratamente presentata -ed autopresentata- come un'imbecille.
Battute volgari, spesso umilianti. Riprese studiate attentamente per far osservare meglio tette, culi, fiche, cosce... il più volgare e triste immaginario maschile sembra essere tranquillamente accettato e ricercato da chi ne è oggetto.
Hanno ragione gli autori quando affermano che noi donne abbiamo introiettato a tal punto in noi il desiderio maschile che è con quello stesso sguardo maschile che ci guardiamo e guardiamo le altre.
Esiste un canone imposto e questa imposizione le donne stesse la accettano: e quindi facce tutte uguali, con le labbra rifatte e le tette gonfie. Poche sembrano essere le donne "televisive" che non lo accettano, che non nascondono ad ogni costo non solo il passare del tempo, ma anche la propria intelligenza e il proprio talento, evitando così di diventare maschere ridicole e oche senza parola.
La risposta a chi critica questa volgarità è di essere "moraliste, bacchettone e demonizzatrici della bellezza".
"Perché non ci ribelliamo?" è la domanda che ci pone il documentario.
Forse ha ragione Chiara Saraceno, che su Repubblica del 29 Maggio 2009 parla di "stanchezza, timore di essere fraintese come moraliste, di sfiduacia nella efficacia delle proteste...".
O forse, ed è ben più grave secondo me, anche noi siamo assuefatte a questa immagine che ci bombarda.
Il punto di partenza è facile: la sovraesposizione del corpo femminile -di un certo tipo di corpo femminile- in televisione.
E' facile vedere come la donna sia stata ridotta -e si autoriduca, come dice il documentario- a "cornice muta", a puro e silenzioso oggetto sessuale.
Lo si vede ovunque, dalla trasmissione di cucina, alla pubblicità del formaggio: quelle che passano sono immagini di una donna procace, sessuale, allusiva, a volte volgare, spesso dichiaratamente presentata -ed autopresentata- come un'imbecille.
Battute volgari, spesso umilianti. Riprese studiate attentamente per far osservare meglio tette, culi, fiche, cosce... il più volgare e triste immaginario maschile sembra essere tranquillamente accettato e ricercato da chi ne è oggetto.
Hanno ragione gli autori quando affermano che noi donne abbiamo introiettato a tal punto in noi il desiderio maschile che è con quello stesso sguardo maschile che ci guardiamo e guardiamo le altre.
Esiste un canone imposto e questa imposizione le donne stesse la accettano: e quindi facce tutte uguali, con le labbra rifatte e le tette gonfie. Poche sembrano essere le donne "televisive" che non lo accettano, che non nascondono ad ogni costo non solo il passare del tempo, ma anche la propria intelligenza e il proprio talento, evitando così di diventare maschere ridicole e oche senza parola.
La risposta a chi critica questa volgarità è di essere "moraliste, bacchettone e demonizzatrici della bellezza".
"Perché non ci ribelliamo?" è la domanda che ci pone il documentario.
Forse ha ragione Chiara Saraceno, che su Repubblica del 29 Maggio 2009 parla di "stanchezza, timore di essere fraintese come moraliste, di sfiduacia nella efficacia delle proteste...".
O forse, ed è ben più grave secondo me, anche noi siamo assuefatte a questa immagine che ci bombarda.