lunedì 21 ottobre 2013

Di sesso, divertimento e stupro.

Modena.
Sedici anni.
Va a una festa e cinque suoi compagni di scuola la stuprano a turno dopo averla fatta bere.

Non riesco nemmeno ad immaginare una cosa del genere, ma quel dolore me lo sento nella carne.

E nella carne sento una rabbia che non riesco nemmeno ad esprimere leggendo le parole di Giovanardi, non nuovo ad uscite vergognose, che sputano veleno sulle vittime di violenza che non soddisfano i suoi requisiti "etici".
Non voglio entrare nel merito della vicenda che l'Autorità giudiziaria dovrà chiarire in tutti i suoi controversi aspetti. Quello che ritengo insopportabile sono certe dichiarazioni, tra l'indignato e il meravigliato, come se fosse possibile, 364 giorni all'anno, dileggiare ogni regola ed ogni principio educativo, presentando la sessualità come uno dei tanti beni di consumo, e poi scandalizzarsi se i ragazzi non si rendono neppure conto dell'inaudita gravità di certi comportamenti.
Se si sgancia la sessualità da un rapporto di amore e di rispetto reciproco svalutandola a livello di semplice divertimento, non ci si può illudere di risolvere il problema attraverso la repressione penale.
Capito?
Per Giovanardi il punto cruciale è che la sessualità viene sganciata "da un rapporto di amore e di rispetto reciproco".
Il problema per lui non sono cinque ragazzi che fanno ubriacare una ragazza per poi abusarne.
No, per lui il problema è che ci siano persone che fanno sesso "a livello di semplice divertimento".
E c'è poco da stupirsi se con tutta questa libertà ci scappi una violenza.

Avrebbe potuto approfittarne per parlare di educazione ad una sessualità consapevole, di rispetto, di lotta alla violenza di genere. 
Invece no.
E la colpa, di nuovo, sembra essere tutta delle donne stuprate, che magari fanno sesso spesso e volentieri, addirittura "slegandolo" da uno stabile rapporto amoroso.

Quante volte abbiamo sentito dire "guarda quella come va in giro, poi si lamenta se la stuprano"?
Quante volte abbiamo sentito dire "quella se l'è cercata"?
Quanti commenti odiosi siamo costretti ad ascoltare davanti ad ogni gonna corta, ad ogni maglietta scollata, ad ogni donna che rivendica il suo diritto di vivere la propria vita e la propria sessualità come meglio crede?

Dovremmo cominciare tutte e tutti noi a rispondere ogni volta a tono a parole come queste, perché solo così smetteremo di sentire commenti vergognosi come quello di Giovanardi.






venerdì 18 ottobre 2013

Perdonali, Giangiacomo, perché (non) sanno quello che fanno.

Feltrinelli libri e musica, Galleria Colonna, Roma.
Questa è la pubblicità dell'e-reader Kobo, che campeggia nel corridoio della libreria Feltrinelli di piazza Colonna, Roma, dove di solito c'è la classifica libri.

"Stasera mi porto a letto tutta la Feltrinelli".

Una grande azienda, una delle case editrici più importanti del paese, che ha portato in Italia libri importanti (l'esempio più banale è la prima edizione de Il dottor Živago, che costò a Giangiacomo Feltrinelli la tessera del Partito Comunista), non è stata capace di andare oltre un doppio senso alla Alvaro Vitali, che forse farà sghignazzare qualche dipendente e qualche cliente, ma che -almeno a me- sembra dire qualcosa di più.

Mi dice innanzi tutto che ogni volta che qui come altrove si è parlato di pubblicità e comunicazione, sottolineando come il sesso sia sempre più spesso usato per vendere qualsiasi prodotto, avevamo ragione: in questo paese il sesso è la sola cosa che vende e che sta bene su tutto e a quanto pare nessuno ha voglia di uscire dallo stereotipo e tentare qualcosa di diverso. La storia della strada vecchia e della nuova, insomma.

E mi dice che il nuovo corso di Feltrinelli, quello che mette i dipendenti in solidarietà e intanto apre canali televisivi, quello che vende cioccolata, gomme americane e zainetti, quello che vuole chiudere la libreria di via del Babuino, che Giangiacomo, per usare le parole di Inge, voleva diventasse "un luogo della cultura viva e moderna di Feltrinelli a Roma", ha perso la spinta intellettuale e in qualche modo "educativa" (passatemi il termine) in nome del profitto. 
Cosa che, badate bene, va benissimo, dal momento che si parla di un'Azienda e non di un'opera pia, ma che pare stonare con le belle parole che accompagnano le iniziative della stessa.
Che si ammettesse una volta per tutte che dei begli ideali ci si è stufati, che non importa più pubblicare un libro nonostante le pressioni politiche, perché è molto meglio contare i soldi e aprire ristoranti in centro.  Andrebbe benissimo, è più che legittimo. E poi la coerenza è una gran cosa.

Continuo a guardare quell'immagine e mi chiedo cosa ne pensano le tante donne e i tanti uomini che nei prossimi giorni dovranno lavorare con questo bel manifesto dietro la schiena.

Mi chiedo se trovano divertente una pubblicità che li chiama in causa tutte e tutti, che li mette al piano della merce venduta, roba che se voglio "mi porto a letto".

Scusa, Giangiacomo, perché (non) sanno quello che fanno.
Forse.


P.S. Leggetevi questo bel post di Baruda: Un fiore rosso per Osvaldo, Giangiacomo Feltrinelli.

P.P.S. Un'oretta dopo aver pubblicato questo post (che volendo trovate pure su globalist) mi arriva un'email da lafeltrinelli.it:

mercoledì 25 settembre 2013

Di pubblicità, linguaggio e lista delle priorità.

Quando ieri ho visto due parti dell'intervento di Boldrini al convegno su "Convenzione di Istanbul e media", ho avuto la piacevole sensazione di sentire, finalmente, una donna delle Istituzioni, la Presidente della Camera, dire qualcosa che vado dicendo da anni, a scapito della mia stessa sanità mentale e con non pochi problemi nelle relazioni interpersonali.

Quando Boldrini dice ai giornalisti e alle giornaliste presenti in sala che chiedere di essere chiamata "al femminile" non è un puntiglio, ma l'affermazione forte dell'esistenza di un altro genere oltre il maschile, ho pensato a tutte le volte che vengo guardata con un sorrisetto ironico ogni volta che parlo di ministra, assessora, consigliera,  e via dicendo e mi sono sentita meno sola.

Dice Boldrini che il suo pretendere di essere chiamata "la Presidente" è un voler ribadire che "la vita ha più di un genere" e che "non c'è un'esclusiva maschile per certi lavori."

Insomma, se si cambia finalmente il linguaggio, si comincia a cambiare anche la mentalità.

Più o meno quello che ci insegnava Alma Sabatini nel 1987 con le sue "Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana", che a quanto pare non solo non sono mai state recepite, ma sono anche state completamente dimenticate.

Andando avanti, Boldrini si sofferma anche sulle pubblicità, ovvero sulla rappresentazione che le pubblicità fanno delle donne, chiedendosi se nel resto del mondo certi stereotipi sarebbero accettati con la facilità con cui vengono accolti qui da noi.

L'esempio iniziale è quello di una famiglia seduta a tavola mentre la mamma serve la cena, per arrivare a tutti quegli spot in cui il "corpo della donna è usato per pubblicizzare viaggi turistici, yogurt, computer".

È questa, stando alle reazioni su social networks la parte che ha interessato (?) maggiormente.

E di qui la polemica del giorno: fosse servire la cena alla famiglia il problema! Puntigli da radical chic! Ridicola! Ci sono altri problemi!

Personalmente avrei usato un altro esempio, tipo quello della donna che conquista il regno perché è brava a lavare i piatti, o quello del marito che apre la porta alla polvere e dice alla moglie "è per te" o uno qualsiasi del campionario raccolto dalle bravissime di Comunicazione di Genere. Ma il punto fondamentale, per me,  dovrebbe essere che finalmente questa questione sia stata portata all'attenzione dei media in un contesto istituzionale importante quale il convegno sulla Convenzione di Istanbul.

Parlando della mamma che serve la cena ad una famiglia seduta, Boldrini dice che forse questo "meriterebbe una riflessione", dal momento che appare evidente che quelle immagini veicolano un certo tipo di rappresentazione del femminile, fermo (aggiungo io) a cinquant'anni fa.

Continuo a pensare che fino a che questo linguaggio e queste rappresentazioni non verranno cambiati, magari anche mostrando un padre in ginocchio intento a pulire il water o un figlio (uso il maschile volutamente) adolescente che lava i piatti, allora non si potrà pretendere che cambi come per magia anche l'immaginario comune.

E mentre io sono felice di sentire certe parole, c'è chi dice che l'esempio era sbagliato, chi dice che "la presidente" è brutto e chi invece ride perché queste sono solo "idiozie femministe", perdendo, a mio parere, un'ottima occasione per un dibattito serio.

lunedì 16 settembre 2013

"Chi parla male, pensa male e vive male"*

PDL Ravenna. 

Questo cartello è sulla vetrina della sezione del PDL di Ravenna. Pare che a pensarlo ed esporlo siano state delle donne, o almeno così ha tenuto a precisare il coordinatore provinciale, come se la mano femminile rendesse il messaggio meno disgustoso.

Ultimamente per i media e la politica è tutto uno "stupro".
Fateci caso.
Roma è invasa di monnezza? Stuprata!
Il bel quartiere cementificato? Stuprato!
Un'aula del Parlamento è occupata da esagitati ignoranti? Stuprata!
La Costituzione viene infangata, umiliata, snaturata? Stuprata!
Addirittura gli scontri durante un corteo o un goal durante una partita di pallone vengono raccontati con un richiamo alla violenza sessuale.

Sembra che non si riesca a trovare un altro termine di paragone per descrivere qualcosa di brutto, di sbagliato, di orrendo.

E a dire il vero è proprio così: l'orrore della violenza sessuale è assoluto e se devo pensare a qualcosa di atroce, di terribile, qualcosa che ti distrugge, penso inevitabilmente allo stupro.

Mi ricordo che la maestra Laura ci raccontò che suo figlio Luca all'asilo aveva cominciato a dire un sacco di parolacce e lei, per arginare il problema, gli aveva fatto ripetere "vaffanculo" per un po', finché lui stesso si era annoiato della parola e aveva smesso di usarla. 

Ecco, questa è la mia paura: che a furia di usarle male e a sproposito, le parole possano in qualche modo perdere il loro stesso significato, possano "normalizzarsi" e diventare qualcosa di diverso. Ho paura che a furia di dire "strupro" nelle occasioni più disparate si perda tutto il senso dell'orrore, della ripugnanza, del disgusto che quella parola porta con sè, quasi fosse un'onomatopea.

Ah, c'è solo un caso in cui la parola "stupro" sembra perdere parte della sua portata orrorifica: quando una donna denuncia di essere stata violentata.
A quel punto troverete decine di sinonimi molto più blandi.



* Nanni Moretti, Palombella Rossa, 1989

mercoledì 28 agosto 2013

Cuccette per signora*

Leggo su Il Fatto Quotidiano, nel ghetto rosa "Donne di fatto":

Deutsche Bahn e Obb, ferrovie che collegano il Nordest d’Italia con Monaco offrono 12 postazioni "sicure" alle "damen": mamme con bimbi piccoli, signore che viaggiano sole, studentesse, passeggere anziane o di religioni che impongono la separazione tra i sessi nei luoghi pubblici.
Pare che la "novità" sia nata da un suggerimento delle viaggiatrici.

Merita di essere sottolineata la frase finale dell'articolo, che purtroppo non è firmato:
Gli scompartimenti per ‘damen’ sono un passo in avanti in un approccio culturale che, purtroppo, dato l’aumento di omicidi e violenze sulle donne, deve salvaguardare la sicurezza anche in un semplice viaggio in treno.
Secondo l'autore/l'autrice (cielo, come vorrei sapere chi l'ha scritto!), creare un luogo per donne, separato dal resto del mondo, controllato e controllabile, che nasconde e ghettizza fingendo di "proteggere" è "un passo in avanti  in un approccio culturale che, purtroppo, dato l’aumento di omicidi e violenze sulle donne, deve salvaguardare la sicurezza anche in un semplice viaggio in treno."

Insomma, secondo chi ha scritto l'articolo un passo in avanti è rappresentato dal nascondere le donne, dal rinchiuderle, dall'allontanarle dal resto del mondo.

Facilissimo: le donne non ci sono, quindi non possono essere uccise o stuprate.
Mi pare lineare.

Visto che sono le donne a farsi uccidere e stuprare, basta che si nascondano, che stiano al loro posto, così non potrà succedere niente di male.
La perfezione dell'ipocrisia.

E come ci si comporterà negli uffici, nelle spiagge, in discoteca, nelle case, nelle scuole, nei negozi, in piscina, sulle piste da sci?

Il prossimo passo quale sarà?

Si faranno delle riserve per sole donne?



*Cuccette per signora, Anita Nair, 2009






sabato 17 agosto 2013

Di fraintendimenti, equivoci e auguri di stupro.

Yelena Isinbayeva è una sportiva russa. Salto con l'asta.
Giorni fa ha difeso l'indifendibile legge russa che discrimina i gay: 
«In Russia non abbiamo mai avuto questi problemi e non ne vogliamo avere nemmeno in futuro. Se si permette che vengano promosse e fatte certe cose per strada, è giusto avere molta paura per il futuro del nostro Paese. Noi ci consideriamo persone normali. Viviamo soltanto uomini con donne e donne con uomini. Certi atteggiamenti e certe parole sono irrispettosi verso il nostro Paese e per i nostri cittadini. Siamo russi e forse siamo differenti rispetto agli europei. Ma abbiamo la nostra casa e tutti devono rispettarla. Quando noi andiamo negli altri Paesi, cerchiamo di rispettare le loro regole senza interferire». (Da Il Corriere della Sera)
Pochi giorni dopo ha fatto marcia indietro, ha parlato di fraintendimento e tutto il resto.
Un giovane esponente del PD a me pressoché ignoto, la cui bio su twitter recita: "Consulente in comunicazione. Art e manager director. Consigliere comunale. Coordinamento regionale Anci Giovane, Presidente Forum Regionale PD sui Diritti.", commenta così le odiose parole di Isinbayeva, dimostrando -se mai ce ne fosse stato bisogno- che un certo schifosissimo machismo è la cosa più bipartisan che si possa immaginare:
Isinbayeva, per me possono anche prenderti e stuprarti in piazza. Poi magari domani ci ripenso. Magari mi fraintendono.
Ci sono state delle reazioni e quindi, nella migliore tradizione berlusconiana, ieri notte ha farfugliato qualcosa su una connessione internet assente e su una frase che non è altro che "un grosso equivoco":
Da diverse ore mi trovo in una zona senza connessione web. Domattina chiarirò quello che evidentemente è un grosso equivoco. E farò dovute comunicazioni. Per ora mi scuso per una frase che, a prescindere dalle mie motivazioni e dagli opportuni chiarimenti, prendo atto sia stata evidentemente recepita come violenta e inaudita.
A cosa servono decreti legge, proclami, spot, se poi un uomo augura ad un'avversaria politica di essere stuprata in piazza?
A cosa servono le belle parole di importanti esponenti della "cultura", se per un uomo dire "per me possono anche prenderti e stuprarti in piazza" non è altro che "un grosso equivoco"?

Ha ragione Laurie Penny:
What we don’t say is: of course not all men hate women. But culture hates women, so men who grow up in a sexist culture have a tendency to do and say sexist things, often without meaning to. We aren’t judging you for who you are but that doesn’t mean we’re not asking you to change your behaviour. What you feel about women in your heart is of less immediate importance than how you treat them on a daily basis.
Siete talmente pieni del fango sessista in cui siete (siamo!) cresciuti che non sapete nemmeno capire cosa ci sia di "sbagliato" nel dire ad una donna (per quanto stronza) che le augurate di venire stuprata.










Per dovere di cronaca, ecco il link della nota con cui Piras ci spiega le meraviglie del paradosso e le bruttezze dello stupro: Lo stupro è inaudita violenza.

Si è dimesso "irrevocabilmente" da tutte le sue cariche e mette nelle mani del Segretario la sua tessera del PD.

Non applaudo, ma ne prendo atto.

martedì 13 agosto 2013

E se gli uomini prendessero parola?

Un caro amico (non ditegli che è caro, che poi si monta la testa) si chiede se non sarebbe meglio se "gli uomini stessero zitti" quando si parla di violenza sulle donne.

Lui si pone il problema che io credo sia il principale nei rapporti tra uomini e donne e la causa prima della violenza e della sua "normalizzazione": l'educazione.

Il solo fatto di essere qui a scrivere di donne, da parte di un uomo, testimonia che c'è qualcosa che nella nostra cultura non quadra. Qualcosa che non va e che è retaggio di millenni di cattiva educazione, diciamo così. E nemmeno vale più porgere le scuse alle donne, diventa un esercizio di banale retorica.

Conosco quest'uomo, so che non starà mai zitto, perché so che quelli come lui non sono capaci di tacere pensando di potere essere anche solo lontanamente assimilati a chi uccide, stupra, picchia, sfigura una donna in nome di non so che assurda idea di possesso.
Sono certa che una cosa del genere gli farebbe schifo e rabbia. E che griderebbe in faccia a chiunque che no, un amore finito non può portare ad uccidere quella che un tempo è stata la propria compagna.

Lui dice " Forse è meglio che gli uomini stiano zitti" e invece io sogno con la mia amica Laura che gli uomini prendano finalmente e pubblicamente parola.

Sogno che questi uomini escano fuori per dire che la violenza sulle donne fa schifo. E non perché è la moda del momento, non perché "la donna non si tocca nemmeno con un fiore", ma perché è così e basta.
Sogno che finalmente gli uomini escano fuori a dire che non considereno le donne una cosa di loro proprietà e che una rottura, la gelosia, un rifiuto non possono in alcun modo portare a violenza e morte.

Gap, amico mio, non dovete stare zitti: anzi. 

E' ora che quelli come te comincino a parlare in pubblico. 

Come dice l'amica mia: un corteo di uomini contro la violenza sulle donne. Aperto da voi uomini, coi vostri striscioni e le vostre parole. E noi donne ai lati del corteo, a vedervi sfilare per poi unirci al corteo, con i nostri striscioni, le nostre parole e le nostre modalità.

Perché se la violenza sulle donne la fanno gli uomini, allora è davvero il caso che chi quella violenza la disprezza prenda pubblicamente e con forza posizione.

E questa non è una "delega" della nostra lotta: le donne non hanno mai delegato niente.
Ci siamo prese il diritto di voto lottando. Abbiamo lottato per il divorzio, per l'aborto, contro il delitto d'onore, contro la violenza.
Non abbiamo bisogno che qualcuno lotti al posto nostro.

Diciamo che un corteo di uomini contro la violenza sulle donne sarebbe una specie di "conta" per vedere chi c'è.