Me la sono letta, col terrore di trovare i deliri di Santori sulla "tutela della donna nel matrimonio tradizionale", la difesa di omofobia e transfobia o l'idea che gli studi di genere rappresentino "un filone di pensiero minoritario, idealmente violento, segregazionista dei generi e totalitario nei metodi".
L’Art. 1 nel suo primo punto rimarca immediatamente
la recezione da parte della Regione Lazio della “Convenzione
sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW),
adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979” e “della Convenzione sulla prevenzione e la
lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica del
Consiglio d’Europa, firmata ad Istanbul l’11 maggio 2011” e sottolinea il
riconoscimento da parte della Regione stessa, che “ogni forma e grado di violenza contro le donne rappresenta una
violazione dei diritti umani fondamentali ed ostacola il raggiungimento della
parità tra i sessi”. [Da qui in avanti tutte sottolineature sono mie.]
Senza
indulgere in facili paternalismi, si mette nero su bianco l’ovvio: essere
vittima di violenza porta le donne a non godere appieno dei propri diritti
umani fondamentali. Il diritto alla vita prima di ogni altro.
Come era nella Proposta di Legge 33, sono presentati una serie di interventi che la Regione prevede e
sostiene a prevenzione e contrasto della violenza di genere e per farlo la stessa
a) promuove interventi volti a diffondere la cultura del rispetto e della dignità della donna, anche in collaborazione con le istituzioni e le associazioni delle donne, le associazioni di volontariato e il terzo settore, che abbiano tra i loro scopi il contrasto alla violenza contro le donne ed i minori, la sua prevenzione e la solidarietà alle vittime;
b) promuove campagne di sensibilizzazione sulla pari dignità, sulla valorizzazione e sul rispetto tra uomo e donna;
c) promuove, presso le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, specifici progetti e interventi, anche rivolti a docenti e genitori, per la diffusione di una cultura dei diritti umani e del rispetto dell'altro, con particolare riferimento alla prevenzione e al contrasto della violenza e al superamento degli stereotipi di genere nonché all’acquisizione di capacità relazionali dirette al miglioramento dell’autostima, attraverso specifici percorsi di educazione all’affettività;
d) promuove interventi, con particolare attenzione a quelli rivolti e posti in essere dagli uomini, per agevolare la comprensione del fenomeno della violenza contro le donne e i minori;
e) sostiene e valorizza le esperienze di aiuto e automutuoaiuto, nonché le forme di ospitalità fondate sull’accoglienza, sulla solidarietà e sulle relazioni, in particolare, tra donne;
f) sostiene e potenzia strutture e servizi di presa in carico, di accoglienza e di reinserimento sociale e lavorativo delle donne vittime di violenza e dei loro figli;
g) promuove e rafforza le reti locali, ove presenti, idonee a prevenire e a contrastare gli episodi di violenza nei confronti delle donne;
h) promuove interventi volti a sostenere l'autonomia economica e psicologica della donna vittima di violenza, ai fini dell’inserimento lavorativo, anche attraverso forme di sostegno a iniziative imprenditoriali;
i) può individuare, nell’ambito del proprio patrimonio, immobili da concedere in comodato d’uso alle strutture di cui all’articolo 4;
j) promuove percorsi specifici per agevolare i figli delle donne vittime di violenza in un adeguato sostegno psicologico, nel diritto allo studio, anche attraverso l’erogazione di borse di studio, nonché azioni per il loro inserimento nel mondo lavorativo;
k) sostiene la formazione rivolta agli operatori pubblici e del privato sociale, compresi quelli che operano nell’ambito della comunicazione, e in particolare quelli facenti parte delle reti locali;
l) promuove, anche attraverso la sottoscrizione di appositi protocolli d’intesa, la formazione di agenti delle forze dell’ordine e operatori sanitari del pronto soccorso coinvolgendo, tra i soggetti formatori, anche il personale qualificato dei centri antiviolenza al fine di incentivare il lavoro in équipe multidisciplinare;
m) promuove, nel settore della comunicazione, dei media e dei new media, campagne informative e azioni di sensibilizzazione della popolazione e degli operatori del settore volte a proporre, in particolare, modelli positivi nelle relazioni tra uomo e donna;
n) promuove percorsi formativi nell’ambito della comunicazione, anche istituzionale, dei media e dei new media, avvalendosi anche della collaborazione di università, istituti di ricerca, organismi professionali e associazioni di categoria;
o) sostiene attività dirette al potenziamento della sicurezza diurna e notturna di parchi, giardini e altri luoghi pubblici a rischio di violenza, mediante sistemi di illuminazione e l’utilizzo di nuove tecnologie volte ad esercitare efficaci forme di controllo del territorio;
p) promuove appositi programmi, anche all’interno delle carceri, per il recupero delle persone maltrattanti su indicazione degli organi giudiziari o dei servizi sociali competenti e a favore di coloro che li richiedano.
Trovo molto
interessante, importante e in qualche
modo rassicurante l’aver sottolineato più volte la volontà di avvalersi delle
associazioni e delle esperienze di “aiuto e automutuoaiuto” e delle “forme di
ospitalità fondate sull’accoglienza, sulla solidarietà e sulle relazioni, in
particolare, tra donne”.
Mi sembra il giusto e dovuto riconoscimento a chi
negli anni combatte in prima linea, e spesso nonostante la latitanza delle
istituzioni, la violenza sulle donne.
Penso immediatamente ai centri
antiviolenza, alle Case rifugio, agli sportelli antiviolenza, come quello di Befree, che da
anni accoglie le donne all'ospedale San Camillo di Roma e alle tante
realtà che ogni giorno lavorano anche per sopperire alle mancanze dello Stato.
Associazioni che sono chiamate a far parte della “Cabina di regia per la prevenzione ed il contrasto della violenza
contro le donne” (Che sarà nominata tra centoventi
giorni. cfr. Art. 3)
La Regione,
inoltre, acquisisce con questa Legge la facoltà di “costituirsi parte civile in tutti i processi celebrati nel suo
territorio aventi ad oggetto reati che presuppongono l’esercizio di condotte
violente, anche di carattere morale, ai danni delle donne e dei minori”.
Interessante è
anche la (abbastanza) puntuale descrizione delle strutture antiviolenza nominate nell’articolo 4 e il
sottolineare come la “metodologia di accoglienza
è basata sulla solidarietà e sulle relazioni tra donne accolte e tra le stesse e
il personale professionale”.
Ancora una
volta si parla di relazioni.
Non so se sia voluto, ma l’idea che ne ho è di
luoghi in cui la donna accolta cessi di essere considerata (e di considerarsi)
sempre e solo una “vittima”, ma cominci a riprendere coscienza di sé e possa instaurare una serie di relazioni che saranno fondamentali perché possa recuperare i propri “pieni
diritti”.
Non solo vittima, quindi, ma anche e soprattutto soggetto attivo.
I punti 6 e 9
dell’art. 4 recitano:
“Il centro antiviolenza viene istituito, almeno in ogni capoluogo di provincia, come centro di sostegno, soccorso e ospitalità per donne, anche straniere, con figli minori, vittime di violenza fisica, sessuale e maltrattamenti.”
“Nei comuni con popolazione superiore a trentamila abitanti ed, in particolare, a Roma capitale, può essere prevista l’apertura di più centri antiviolenza utilizzando sedi di proprietà pubblica.”
Inoltre, nell’art.
6, si parla di istituire “case della semiautonomia”, ovvero strutture di ospitalità
temporanea per le donne e i minori che non vivono in una situazione di pericolo immediato,
che stanno compiendo il “percorso di uscita dalla violenza” o che, seppure
uscite dai centri antiviolenza, ancora non sono pienamente autonome, a livello psicologico e/o economico.
Con questo la Regione
prende un impegno preciso, che spero non verrà disatteso.
Con l’Art. 8 si intende istituire un Osservatorio regionale sulle pari
opportunità e la violenza sulle donne, che
a) provvede alla rilevazione, all’analisi, anche comparativa, e al monitoraggio dei dati inerenti lo stato di applicazione delle politiche di pari opportunità, la violenza sulle donne e assistita, gli interventi di contrasto alle stesse negli Stati membri dell’Unione europea, su tutto il territorio nazionale con particolare riferimento alla regione;
b) svolge indagini, studi, ricerche e attiva collaborazioni in materia di politiche di pari opportunità e di contrasto alla violenza sulle donne, anche in relazione ai dati ed alle analisi di cui alla lettera a);
c) elabora proposte e progetti per l’effettiva realizzazione del principio di pari opportunità;
d) promuove e diffonde la cultura delle pari opportunità, del rispetto, della libertà e della dignità della donna, anche attraverso l’attività di informazione socioeconomica e l’organizzazione di seminari e convegni di studio;
e) svolge attività di monitoraggio degli effetti delle politiche intraprese, anche nel mondo del lavoro, valutando l’efficacia degli interventi regionali.
“Finalmente”,
ci si impegna ufficialmente a riferire non solo in merito alla realizzazione di quanto
previsto da questa specifica legge, ma anche in merito “all’andamento del fenomeno della violenza di genere indicando le
capacità dei servizi delle reti locali di accogliere in modo adeguato le donne
vittime e di rispondere alle loro necessità di sostegno e autonomia.”
Può sembrare
forse banale, ma se si pensa che i numeri della violenza sono quelli forniti
dalle varie associazioni e che i dati ISTAT
in merito alla violenza di genere non vengono aggiornati da troppo tempo, il passo risulta invece essenziale.
Finalmente si parla di fondi: dall’esercizio finanziario 2014 verrà istituito un
“Fondo
per il contrasto alla violenza di genere e per la promozione dellepari
opportunità”, nel quale confluiscono le risorse pari ad euro 1.000.000,00”, che
andranno ad aggiungersi a quelle già stanziate per le strutture nominate nella Legge, che è entrata in vigore oggi stesso.
Un paio di
considerazioni ancora.
Sono felice che
nel testo si parli poco di “sicurezza” intesa come repressione (anche il punto o dell’art. 2 è decisamente meno
"forcaiolo" dei tanti sbandierati interventi oppressivi particolarmente in voga negli
ultimi tempi).
Sono soprattutto felice e speranzosa,
lo ripeto, dopo aver letto che saranno potenziati centri e sportelli antiviolenza,
case delle donne e case rifugio, che saranno previsti percorsi di formazione
per il personale e di informazione nelle scuole e di “educazione all’affettività”
come strumento di prevenzione e contrasto alla violenza di genere.
Lo abbiamo detto mille volte: l'educazione è fondamentale per contrastare ogni forma di prevaricazione e di violenza. Insegnare ai ragazzi e alle ragazze a rispettarsi a vicenda, spiegare ai giovani uomini che le donne non sono pezzi di carne da possedere e alle giovani donne che possono essere tutto ciò che vogliono, che nulla può essere loro precluso perché sono nate femmine è il primo, fondamentale, passo per creare una società più giusta.
Lo abbiamo detto mille volte: l'educazione è fondamentale per contrastare ogni forma di prevaricazione e di violenza. Insegnare ai ragazzi e alle ragazze a rispettarsi a vicenda, spiegare ai giovani uomini che le donne non sono pezzi di carne da possedere e alle giovani donne che possono essere tutto ciò che vogliono, che nulla può essere loro precluso perché sono nate femmine è il primo, fondamentale, passo per creare una società più giusta.
Certo, dovremo vigilare con la consueta attenzione tutte (e tutti) affinché quanto scritto non resti solo lettera morta, belle parole da dimenticare in fretta, ma le donne in questo sono bravissime.
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