Il 13 giugno 2013 il consigliere della
Regione Lazio Simone Lupi (PD) ha presentato la Proposta
di Legge regionale n. 33 concernente “Norme
per la creazione della rete regionale contro la violenza di genere e per la
promozione della cultura dell’inviolabilità, del rispetto e della libertà delle
donne”.
Si parla di “mettere
a sistema gli interventi di prevenzione della violenza sulle donne”, di “progetti
educativi e culturali”, di “prevenzione nel campo della istruzione e della
formazione rivolte a diverse fasce scolastiche e diversi target”.
Interessante è
anche l’auspicata promozione di “progetti per l’occupazione per le vittime”,
dal momento che non sono poche le donne che continuano a subire violenza in casa anche perché
non hanno modo di provvedere economicamente a sé stesse ed eventualmente a
figlie e figli (cfr. Art. 8 Accompagnamento al lavoro e all’autonomia
economica)
L’Art.1 merita di
essere esposto per intero (le sottolineature, qui e altrove, sono mie):
Art. 1 Principi e finalità
La Regione Lazio,
richiamandosi ai diritti fondamentali sanciti dall’ONU, dalla Convenzione sulla
eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne/CEDAW, dalla
Risoluzioni dell’UE e dalla Costituzione italiana, e in ottemperanza dei
principi dello Statuto regionale:
a) riconosce
come violazione dei diritti umani universali alla vita, alla inviolabilità,
alla libertà ogni forma di violenza fisica, psicologica, sessuale ed economica
esercitata contro le donne nella vita pubblica e privata, comprese le minacce
di tali atti, le persecuzioni e la violenza assistita;
b) considera
la violenza contro le donne, esercitata in ogni forma e in ogni ambito, un
impedimento all’esercizio della piena cittadinanza e un danno grave alla loro
salute fisica, psichica e sociale;
c) nomina
la violenza contro le donne violenza di genere, in quanto rivolta dagli uomini
sulle donne in ragione della loro identità di genere;
d) contrasta
la cultura basata su relazioni di potere diseguale fra uomini e donne che
supporta e legittima la violenza nelle relazioni intime, nell’ambito familiare,
lavorativo e sociale e promuove una cultura dei diritti e del rispetto delle
differenze di genere;
e) contrasta
l’uso di consuetudini discriminatorie ed offensive del genere femminile
presenti nella comunicazione pubblica;
f) contrasta
tutte le forme di violenza quali i matrimoni forzati, la tratta, le mutilazioni
genitali e fisiche;
g) garantisce
piena accoglienza, tutela e solidarietà a tutte le donne e ai loro figli
vittime di violenze, abusi e maltrattamenti, persecuzioni e minacce.
Con questa proposta di Legge, la
Regione, si impegna a “diffondere i diritti di uguagflianza e delle pari
opportunità e la valorizzazione delle differenze di genere”, a promuovere e
sostenere la creazione della “Rete regionale contro la violenza di genere”, a
predisporre “programmi di formazione” e “specifici progetti e interventi volti
alla diffusione di una cultura dei diritti umani e del rispetto dell’altra/o,
con particolare riferimento alla violenza di genere” nelle istituzioni
scolastiche di ogni ordine e grado , ad istituire “l’Osservatorio regionale
sulla violenza di genere”, a valorizzare i “modelli culturali, le esperienze di
aiuto e le forme di solidarietà e la relazione tra donne maturate nelle Case e
nei Centri antiviolenza”.
Una proposta abbastanza sensata, che finalmente nomina la violenza di genere, che finalmente riconosce il ruolo fondamentale delle relazioni tra donne e delle Case e dei Centri Antiviolenza (gli stessi cui vengono continuamente sottratti fondi economici fondamentali).
Forse si sarebbe
potuto (e dovuto) fare di più, ma come primo passo non è così pessimo come ci
hanno abituate tante proposte simili (una per tutti, la legge su femminicidio).
A questa Proposta (purtroppo non
è ancora on line sul sito della Regione il testo approvato), Fabrizio Santori
(ex MSI, AN, PDL, La Destra, ora consigliere Regionale nel Gruppo Misto)
risponde con un ODG il cui oggetto recita: “Tutela della donna nel matrimonio
tradizionale e tutela della libertà di espressione a fronte della Proposta di
Legge nazionale contro l’omofobia e la transfobia”.
Dal suo sito,
Santori ci informa che
Il giorno 5 marzo 2014, è stata
raggiunta una grande vittoria nell’ambito della discussione della Proposta di
Legge contro la violenza sulle donne approvata dal Consiglio Regionale del
Lazio. E’ stato approvato all’unanimità un Ordine del Giorno di istruzione alla
Giunta Regionale presentato in qualità di primo firmatario dal consigliere
regionale Fabrizio Santori (www.fabriziosantori.com ) avente ad oggetto “Tutela
della donna nel matrimonio tradizionale e tutela della libertà d’espressione a
fronte della Proposta di Legge nazionale contro l’omofobia e la transfobia”.
Nello specifico, con
l’approvazione di questo atto di indirizzo, il Consiglio Regionale del Lazio ha
impegnato il governatore Zingaretti a sostenere tutte le azioni per il contrasto
alla violenza per tutti i cittadini e senza sottostare ai deliri degli
"studi di genere", ad esprimersi sulla questione dei limiti
incostituzionali alla libertà di espressione che verrebbero imposti daldisegno
di legge, attualmente in discussione inParlamento, dal titolo
“Disposizioni in materia di contrasto dell'omofobia e della trans fobia”, a
mettere in atto politiche concrete a favore della famiglia costituita intorno
al vincolo del matrimonio tradizionale. [I refusi sono tutti suoi.]
Su twitter mi ha fatto sapere che l'ODG è stato recepito completamente e nulla è stato espunto.
Leggendo l'oggetto dell'Ordine del Giorno n. 133 del 5.03.2014, mi chiedo quale sia il nesso tra
il contrasto all’omofobia e alla transfobia e la violenza di genere e mi
sanguinano gli occhi leggendo “tutela della donna nel matrimonio tradizionale”,
ma vado comunque avanti nella lettura.
Santori comincia scagliandosi
contro la risoluzione 53/134
dell’ONU e contro la convenzione CEDAW, che deriverebbero da un “quadro di
una lettura puramente culturale della società e sulla base della cultura degli ‘studi
di genere’, che rappresentano un filone di pensiero minoritario, idealmente
violento, segregazionista dei generi e totalitario nei metodi”.
Sì, lo so, fa
ridere. Mischiare totalitarismo, segregazionismo e studi di genere è talmente tanto assurdo che non si può non scoppiare a ridere.
Solo che mentre noi ridiamo questa cosa è stata recepita dalla
Regione Lazio durante la discussione su una proposta di legge di contrasto alla violenza di genere.
Secondo Santori ONU e CEDAW fanno
una lettura “viziata da pregiudizi ideologici e dogmi culturali”. Insomma, un
conto è dire che le donne vengono picchiate, segregate, abusate, violentate,
magari uccise, un altro è dire che troppo spesso questo lo fanno gli uomini.
Magari i mariti, fidanzati, compagni, padri, zii, cugini. All’interno della
tanto amata famiglia tradizionale.
L'Europa e il mondo sembrerebbero, in quest'ottica, ostaggio di misteriosi personaggi dediti agli studi di geere (lo spauracchio degli ultimi anni), che con i loro pregiudizi ideologici vorrebbero distruggere il mondo così come lo abbiamo conosciuto.
Santori sostiene che la proposta
di Legge 33 punti ad una “contrapposizione contro tutti gli
uomini indifferentemente dalle responsabilità personali, atti e scelte in
quanto uomini” e che pretenda di “intervenire nei rapporti tra uomo e donna a
livello assoluto, nel rapporto ovunque esista e indifferentemente da fatti o
scelte dei singoli”. Questo nonostante nella proposta si parli chiaramente di
contrasto alla violenza e non di intervento nella vita delle coppie. Senza contare che basterebbe saper leggere per notare che da nessuna parte in quella proposta si parla di interventi nei rapporti "a livello assoluto".
Improvvisamente, parte la tirata sulla
famiglia, “luogo principe del rapporto tra uomo e donna”, “fenomeno naturale
che nella nostra specie prende forma dai fatti incontrovertibili che sono l’istinto
di riproduzione, la società e la cura dei figli”, nella quale cura
della prole, gravidanza e svezzamento impegnano di più le donne (eh, purtroppo
voi ancora non potete partorire).
C’è una frase che non capisco: “[…]
la durata del periodo in cui la donna partecipa pienamente ai rituali sociali
per la formazione della famiglia è più breve rispetto a quello dell’uomo
rendendo il tempo e le scelte di una donna ancora più preziose e importanti”.
Quali sono i “rituali sociali”?
Se prima dici che gravidanza, allattamento e
cura sono praticamente a carico della donna, che vuol dire che partecipa poco a
questi “rituali sociali”?
Non lo
capisco, anche perché subito dopo parla di uno svantaggio per la donna dato dallo “sbilanciamento
dell’impegno genitoriale e coniugale”, che però viene attutito grazie al
matrimonio, “l’istituto contrattuale che ha meglio regolato da parte della
società la formazione della famiglia”.
Ho chiesto lumi su twitter. Aspetto fiduciosa.
Secondo questo ODG quello che si
intende fare con la proposta di Legge 33 sarebbe “annullare la questione con un
immaginario ‘superamento della famiglia’ e dei modi con cui è stata regolata
con grande attenzione per decenni, con operazioni di propaganda […] tentando un’immaginaria
azione di scavalcamento del rapporto tra uomo e donna perché non rispondente
alle letture ideologiche provenienti da certa cultura individualizzante e
totalitaria”.
Manca solo una sparata sul nazifemminismo e ci siamo.
Insomma, secondo Sartori, allargare diritti a tutte e tutti, anche a chi è fuori dal “matrimonio tradizionale”, equivarrebbe ad una “maggiore esposizione della donna agli svantaggi che
derivano dal diverso impegno che le è richiesto in condizione di madre e
coniuge”.
Allargare ad altr* quei diritti che per il consigliere sono fondati “non sul
progetto di vita, ma sulla sessualità o sulla sola temporanea solidarietà tra
persone”, porrebbe la donna in una posizione di
subalternità, ormai fuori da quella meravigliosa bolla protettiva che è la famiglia
fondata sul matrimonio tra uomo e donna.
È il cavallo di battaglia delle
destre: allargare i diritti a tutte e tutti toglie diritti a chi li ha già.
Come se un matrimonio gay togliesse qualcosa al mio.
Improvvisamente, senza soluzione
di continuità, si passa alla seconda parte dell’ODG, ovvero la “tutela della
libertà di espressione a fronte della Proposta di Legge nazionale contro l’omofobia
e la transfobia”.
In merito alla obiezione-tipo alla legge su omo e transfobia, tempo fa scrissi:
Le obiezioni dei grandi difensori
della libertà di opinione sono abbastanza ridicole, se si pensa che tutta 'sta
storia la stanno facendo per qualche parola aggiunta ad una legge già
esistente, che, a quanto pare, per loro non è mai stata un problema (o per lo
meno non al punto da fare una "maratona del rosario" per dichiarare la propria
preoccupazione e il proprio dissenso).
[…]
Già è punito chi "propaganda
idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a
commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici,
nazionali o religiosi", aggiungerci "o fondati sull'omofobia e
transfobia" evidentemente per qualcuno deve essere davvero troppo.
Con buona pace di Santori e di quanti sono terrorizzati dall’idea che non si
debbano propagandare idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o
etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per
motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi o fondati sull'omofobia e transfobia, nessuno andrà in galera
perché contrario alle unioni omosessuali, alle adozioni da parte di coppie omosessuali
o perché crede che cambiare sesso sia un capriccio da malati.
E non c’è nessun
colpo alla libertà di espressione: chiunque potrà comunque continuare a
dichiararsi omofobo, razzista, transfobico, ma non potrà, ad esempio, fondare
un partito o un’associazione che dice che “i froci devono essere bruciati sulla
pubblica piazza, non possono lavorare negli uffici pubblici e devono essere
rinchiusi in appositi ghetti”.
La mossa di Santori è
particolarmente subdola, per quanto non nuova né unica, perché unisce il contrasto alla violenza di genere
(che sostiene essere “ideologico”) con la violenza in generale: secondo lui l’Art.
1 della Proposta di Legge 33, “ottenebra il problema della violenza tra le
persone, paradossalmente pretende di sminuire la gravità della violenza dell’uomo
contro l’uomo contro l’uomo contro l’uomo
(sic), della violenza compiuta dalla
donna, della violenza degli adulti contro i bambini e addirittura propone ai
violenti l’attenuante specifica del condizionamento culturale”.
Mischiando “libertà di
espressione, di associazione e religiosa” e violenza di genere, Santori chiede
al Presidente della Giunta Regionale del Lazio di impegnarsi “a perseguire l’obiettivo
dell’educazione e prevenzione contro la violenza nella regione per tutti i
cittadini indifferentemente dal sesso e senza sposare posizioni culturali
marginali e marginalizzanti che puntano a segregare le donne dagli uomini in
base alle pretese di ‘culture di genere’ totalitarie e antidemocratiche”, ad
esprimere “preoccupazioni circa le limitazioni alla libertà di espressione” che
deriverebbero da una legge contro omofobia e transfobia e a finanziare
politiche “concrete a sostegno della famiglia costituita intorno al vincolo del
matrimonio”, soprattutto per le famiglie numerose.
L’ODG in questione è stato
recepito "completamente", come mi ha risposto Santori, dal Consiglio Regionale, a dimostrazione di
come ogni tentativo di contrastare la violenza di genere sia considerato da
un’ampia parte delle forze politiche (e di larghissima parte della popolazione italiana) non solo inutili (e allora la violenza
dell’uomo contro l’uomo? E quella delle donne?), ma anche secondarie rispetto a
provvedimenti che continuino a ratificare uno status quo che vede nel “matrimonio
tradizionale” il solo e unico vincolo conosciuto e riconosciuto nei rapporti tra i sessi.