Da un anno circa, prima di Un Posto al Sole, su Rai 3 va in
onda Sconosciuti.
Protagoniste, come sempre, le persone che di solito non vanno in tv.
Un censimento televisivo dell’Italia, uno specchio in cui ogni spettatore può
riconoscere una parte di sé e della propria famiglia.
In ogni puntata i protagonisti raccontano la propria vita in un
intreccio di ricordi, emozioni e immagini che riportano alla memoria le tappe e
le scelte più importanti: l’amore, il lavoro, le difficoltà economiche, le
crisi personali, la crescita dei figli, le decisioni sofferte, gli eventi che
hanno prodotto svolte decisive e significative.
Sconosciuti accende i riflettori sulle persone comuni che hanno una
storia semplice e per questo straordinaria, intessuta di sacrifici e di
fatiche, illuminata dall’amore e dall’amicizia.
Ridono, piangono, amano, cadono, si rialzano e tornano a sorridere.
Sconosciuti è la storia della nostra personale ricerca della felicità
Così si legge sul sito.
Raccontiamo in 23 minuti le vite delle persone normali.
Evitiamo coloro che hanno vite estreme. L’idea è di raccontare la vita normale,
anche se nessuna lo è, vista da vicino. La scommessa è far raccontare a persone
di ceto medio la loro esistenza.
Mi capita di vederlo, mentre preparo la cena o fumo una
sigaretta in attesa di UPAS e riesco a volte anche a "seguirlo", nonostante io
trovi insopportabilmente ansiogena la colonna sonora.
Comunque, quello che ho notato dalle poche puntate
che ho visto "con attenzione" sono l’eccessivo
buonismo e gli spottoni su quanto è bella la famiglia.
I personaggi, gli Sconosciuti, sono spesso parecchio
stereotipati, le storie, "normali", qualsiasi cosa significhi, hanno sempre una morale, racchiusa in una citazione colta della voce fuori campo, che
pare tenda a rimettere tutto sulla retta via, quella socialmente accettata,
quella della famiglia per bene, della famiglia
italiana dei bei tempi.
Che poi è esattamente quello che si cercava: niente vite
estreme e racconto del ceto medio.
Il programma non mi piace, ma in effetti offre uno spaccato
interessante del paese.
In quel "ceto medio" dalla vita "normale" c'è un po' di
tutto, e tutto è "socialmente accettabile" dall’italiano medio.
Ieri stavo come al solito facendo altro, ma la storia
raccontata mi ha distratta quando ho intrasentito che la protagonista, poco più
che adolescente, era rimasta incinta ed era stata lasciata dal fidanzato.
Dice la voce fuori campo che lei non sapeva cosa fare e
soprattutto come dirlo al padre, che però, dopo un momento di smarrimento, le
ha detto "se vuoi puoi tenere il bambino".
Ah, che bravo! Ah, che apertura mentale! Uh, quanto amore per
la sua bambina!
Brividi lungo la schiena.
“Se vuoi puoi tenere il bambino”.
Be’, tante grazie. Non è che ci siano altri modi per tenere un
bambino se non volerlo. In caso contrario si chiama coercizione e maternità
obbligata.
Ma va bene, probabilmente sono io che vedo sempre il marcio
dove non c’è, che cerco la polemica anche quando non serve.
L’hanno detto male: volevano solo dire che il padre di lei
sarebbe stato vicino a sua figlia qualsiasi cosa avesse scelto. Che poi è
esattamente quello che dovrebbe fare un genitore, ma questa è un'altra storia.
Bla bla bla, il racconto continua.
Lei si arruola nell’esercito
e vede per la prima volta lui, che le fa l’occhiolino dalla moto, mentre la sua
ragazza di allora era dietro.
Lui è il prototipo del maschio viziato, quello
che mamma gli prepara la colazione ogni mattina, gli stira i panni, gli mette
su casa e via dicendo.
I due si innamorano.
Decidono di vivere insieme.
"A me non piaceva l’ambiente della camerata… donne, uomini…
ma che ne so… 'sti caporali, uno entrava dalla finestra, l’altro dalla porta… così
le ho detto: o me o la vita militare… scegli."
"E io ho scelto lui".
E niente, qui mi è venuta la pelle d'oca.
Questa storia ci racconta, credo, moltissimo.
Ci racconta come, ancora oggi, la "scelta" tra il proprio
compagno e il proprio lavoro, sia considerata normale e
accettabile, a volte perfino segno di grande amore e romanticismo.
È un problema culturale che va ben oltre la storia degli sconosciuti di Rai 3.
È un lavaggio del cervello continuo e implacabile, che tutte
(e tutti) subiamo da sempre.
La donna che rinuncia alla propria vita, alle proprie
aspirazioni, al proprio lavoro per "la famiglia" è il solo modello di donna davvero
accettato.
Le altre, quelle che vogliono lavorare, viaggiare, vivere come meglio credono la propria vita, sono elementi disturbanti, estranei, spiazzanti.
L'uomo che chiede alla propria compagna di "scegliere" è un uomo innamorato, che vuole "badare a lei e alla famiglia". Che "non le farà mancare niente" e che "si prenderà cura di lei".
Spero sia chiaro che non
sto assolutamente giudicando la scelta della sconosciuta dell’altra sera,
ma che voglio solo ragionare su un certo modo tipico dei media nostrani di presentare la "normalità", che va
ben oltre il programma in questione.
Fateci caso: la donna-in-carriera è sempre connotata in
maniera negativa.
È una che trascura la famiglia, ammesso e non concesso che
tra una riunione e un viaggio di lavoro sia stata capace di farsene una. È una
donna dura, che non indulge a nessun sentimentalismo, sola, incapace di creare
relazioni sincere, stabili, durature.
Una stronza, insomma.
E anche una fallita, perché, si sa, le donne sono fatte per essere madri e per quanto possa piacerti il tuo lavoro, non sarà mai come avere un/a figlia/o
Quello che i media ci presentano continuamente è un mondo in cui maschi e
femmine hanno ruoli ben distinti che non possono essere intercambiabili, a meno
di non voler distruggere l’armonia.
Se poi ci si trova davanti alla pratica, a un uomo che cura i propri figli, che li porta a scuola e a nuoto, che prepara da mangare e magari decide addirittura di rimanere a casa a fare il casalingo, allora è un mammo, una cosa speciale, quasi incredibile e comunque è uno decisamente strano, che si guarda con un po' di pena (chissà che stronza sua moglie!) tra una risatina e l'altra.
Lo vediamo
ovunque, nelle pubblicità, nei telefilm, perfino nel mio adorato UPAS, con
Filippo che non gradisce che Viola torni a casa la sera da sola e che quando
lei viene aggredita in strada le dice di smetterla di uscire da sola.
Viviamo in
una società che insegna a noi donne come "proteggerci", dove per "protezione"
si intende restarsene ben tappate in casa e se proprio si deve uscire, a farlo in
compagnia di un uomo che possa salvarci dai cattivi.
Quando usciremo da questo tunnel?
Siamo sicure e sicuri che non sia necessario ora più che mai un cambio di rotta totale?
Che non sia ora per i media tutti di cominciare a parlare di donne altre, che magari non hanno voluto avere una famiglia, che preferiscono lavorare fino a tardi, che vanno in vacanza da sole e non hanno bisogno di uno che "badi" loro, come se fossero "normali" e non delle specie di Amazzoni dal cuore di pietra?