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Alessio Spataro |
Questo post è scritto insieme a Questo Uomo No.
Rosa per la femmina, celeste per il maschio, così non turbiamo nessun*.
Raptus.
Per me il raptus è
quella cosa che ti prende quando non riesci a fare un lavoro di precisione e ti
porta a scaraventare tutto in terra. E io con i lavori di precisione non sono
mai stata un granché, come potrebbe testimoniare la prof. di Educazione Tecnica
delle medie.
O magari è quello che ti assale quando sei in cucina, ti cade il cous cous che si sparge ovunque e ti metti a urlare e battere i piedi.
Io quando c’ho i raptus, magari dopo una brutta giornata in ufficio, bestemmio e scaglio cose in terra, magari sbatto la porta rischiando di farmela cadere in testa, ma ancora non ho mai ammazzato mio marito, né picchiato il cane.
Raptus.
Io il raptus ce l'ho specialmente quando la Roma gioca male.
Quindi sono un esperto. Però non mi sono mai sognato di farlo diventare una
categoria del pensiero, un emblema della mia vita sociale, uno strumento col
quale spiegare tutto ciò di cui non mi conviene cercare il responsabile.
Non credo, per dire, che raptus
sia quando ammazzi la tua ex compagna che si sta rifacendo una vita, o tua
figlia che non obbedisce o tua moglie che non accetta di dire sempre sì.
Eppure quella del raptus pare essere diventata ormai
la scusa principale di ogni stupratore, di ogni assassino.
È una scusa facile e veloce, buona per tutte le occasioni e non
stupisce che sia la nuova tesi difensiva del femminicida.
Invece l'ho visto diventare proprio questo. Sono anni che ne
parlo in giro, a proposito dello sconsiderato uso che ne fanno i/le giornalist*
su carta, video e web, in occasione di femminicidi, e quello che non volevo
vedere a nessun costo è diventato realtà: adesso “raptus” lo usano direttamente
gli assassini. E, anche loro, sconsideratamente: l'ultimo, a Gorghetto,
si dice vittima di un raptus durato dalla sera alla mattina. E finito, guarda
un po', poco prima di suicidarsi.
Stanno finalmente imparando anche loro ad usarla a proposito.
L’ultimo
in ordine cronologico è il tizio che dopo aver ammazzato moglie e suocera avrebbe affermato di essere stato in preda a
un raptus causato da “difficoltà
lavorative”.
E chiunque sia minimamente attenta/o a quanto succede ogni volta
che un uomo ammazza una donna, la compagna, la moglie, l’amante, la figlia, sa
benissimo che raptus e “difficoltà
lavorative” sui media nazionali
vanno sempre a braccetto, solitamente accompagnati da “separazione” e
“divorzio”.
Il passaparola, evidentemente, ha funzionato: ormai sanno tutti
cosa fare, dopo aver stuprato o ammazzato sconosciute, compagne o altre donne
di casa per i più vari motivi. Il raptus lo ammettono direttamente loro, pronti
a vedersi affibbiare come una banale pratica amministrativa quella seminfermità mentale,
tanto comoda in un codice rimasto orfano del delitto d'onore ma sempre
patriarcale nel midollo.
Uno che ha usato apertamente la scusa del raptus, stando alle cronache, sarebbe stato lo stupratore reo
confesso della tassista romana, che avrebbe detto che era preda di un raptus perché l’autobus non passava e
lei era “così attraente”. Pare che lo stesso tizio sia stato riconosciuto da
una ragazza che sostiene di essere stata molestata da lui in ascensore.
Evidentemente c’è gente che è presa dai raptus con più facilità di altra.
In questo caso, comunque, raptus è stato usato come sinonimo di “obbligare una donna a farti un pompino perché l’autobus era in ritardo”.
Evidentemente c’è gente che è presa dai raptus con più facilità di altra.
In questo caso, comunque, raptus è stato usato come sinonimo di “obbligare una donna a farti un pompino perché l’autobus era in ritardo”.
Alla faccia della competenza specifica che servirebbe per
usarla, ormai la parola “raptus” è tanto diffusa che fa tendenza, fa cultura.
Ma è tutto normale, anche se non si finisce nel delitto; è una violenza
ammessa, credibile, certo inevitabile, e che ci vuoi fare? Sta nelle cose, è
nella natura del maschio, come ci dice l'esperto
Formigoni: proprio l'essere recidivo, come ad esempio nel suo
caso, testimonia la genuinità di quel comportamento.
Sarebbe stato bello leggere articoli e ascoltare servizi in tv
che smontassero pezzo per pezzo la teoria del raptus invocata da questi soggetti.
Sarebbe stato bello anche solo un commento fatto a mezza bocca da qualche addetto/a ai lavori.
Che ne so un “e certo, mo’ se chiama raptus” durante il Tg delle 19.
Sarebbe stato bello anche solo un commento fatto a mezza bocca da qualche addetto/a ai lavori.
Che ne so un “e certo, mo’ se chiama raptus” durante il Tg delle 19.
Quando il maschio si vede impedito nell'esercizio del suo potere
– a casa, nel lavoro, per i cazzi suoi che non vanno come vorrebbe – allora
urla, insulta, mena, ammazza. E' il raptus bellezza, e io sono maschio, che ci
posso fare?
E invece no.
La notizia è stata data come se fosse normale ammazzare e stuprare e poi dire “eh, ma io c’avevo il raptus”.
La notizia è stata data come se fosse normale ammazzare e stuprare e poi dire “eh, ma io c’avevo il raptus”.
Sarebbe stato soprattutto un segnale forte della volontà da
parte dei media di cambiare rotta, perché se questi assassini parlano in un
certo modo, portano un certo tipo di giustificazioni alle loro azioni, o
meglio, pensano di poter trovare una giustificazione alla violenza e al
femminicidio, è perché da qualche parte hanno letto e sentito che se un uomo
ammazza una donna, di certo lo ha fatto per problemi di lavoro, di famiglia,
per “gelosia”, per “un amore sbagliato”, per problemi erettili, per un raptus incontrollabile. Tempo fa uno
disse che aveva ammazzato la moglie perché si era sentito umiliato dopo che lei
lo aveva invitato a farsi una doccia
perché puzzava. Per dire, di scuse se ne trovano a pacchi, volendo.
Quanto tanti maschi siano cresciuti sapendo che anche a loro può
prendere un raptus e diventare maleducati, cafoni, violenti o assassini, lo si
misura non da quanti hanno risposto sui social a Formigoni, ma da quei maschi –
silenziosa invisibile soffocante maggioranza – che si sentono solidali con
Francesco Grieco e la sua depressione: «dopo alcuni giorni
l'uomo avrebbe però smesso l'assunzione dei medicinali, poiché riteneva che non
giovassero al suo stato d'animo e fossero utili solo a tranquilizzarlo e
conciliare il sonno». Senza lavoro, «frustrato dalla
disoccupazione […] si è ritrovato ad assistere la suocera invalida», a non
essere più maschio come prima.
Eppure, stando a quanto dice Claudio Mencacci, ex presidente della Società Italiana
di Psichiatria e direttore del Dipartimento di Neuroscienze del
Fatebenefratelli di Milano, la Psichiatria esclude l’esistenza del raptus. In un’intervista a La 27esimaora
su Il Corriere della Sera, Mencacci afferma
che molto, molto spesso, dietro a episodi di violenza come quelli cui ho
accennato, c’è «sempre una spiegazione,
un motivo che si è costruito nel tempo. Non è mai un fulmine a ciel sereno e
tendere a giustificare non aiuta nemmeno a cogliere i segnali di un eventuale
pericolo».
Niente raptus, dunque,
ma un modo di intendere la vita e i rapporti tra le persone, che porta a
credere che le donne siano una proprietà, un oggetto, così come i figli e le
figlie. Cose su cui si pretende di avere diritto di vita e di morte. Più di
morte che di vita, stando ai numeri.
«Gli italiani mi danno ragione», dice Formigoni, anche se
sicuramente nessuno ammazzerebbe per la frustrazione, no? E infatti. Quella
psicologica/psichiatrica non è che una delle tante facce del problema. Ci sono
anche quella sociale, politica, culturale – tutte facce scomode che nessuno
vuole vedere, finché una di queste facce diventa un pluriomicida, sedicente in
preda a “raptus”.
Eccolo, il raptus del
femminicidia e dello stupratore.
Non è un “gesto inconsulto” come quando esci di casa, ti accorgi
di aver dimenticato le chiavi e prendi a calci la porta.
Quant'è bello, il raptus. Non ti avvisa, ti risolve i problemi,
ti fa fare la figura del maschio, ti toglie tanti anni di galera, salva la tua
reputazione e sparge terrore e fatalismo in tutti gli altri, produce titoli
efficacissimi.
È qualcosa che viene da lontano, che ti porta a pensare che
quella cosa lì, che vive con te, che
magari hai amato (?) ti appartenga e non abbia dignità, quasi fosse un
elettrodomestico che non fa più quello
che gli chiedi che quindi prendi a calci, tiri per terra, rompi, scaricandoci sopra tutto il tuo odio e la tua rabbia.
Viene, piaccia o no, da una cultura che ci domina e ci opprime da millenni, che ci insegna che le donne non hanno valore se non è un uomo a darglielo, che le donne non possono volere e desiderare se un uomo non le autorizza a farlo.
Viene, piaccia o no, da una cultura che ci domina e ci opprime da millenni, che ci insegna che le donne non hanno valore se non è un uomo a darglielo, che le donne non possono volere e desiderare se un uomo non le autorizza a farlo.
Questi uomini no.
Si chiama "cultura patriarcale".
(grazie ad Alessio Spataro
per la vignetta)