La storia è una di quelle storie mostruose, che riempiono le cronache dei giornali e che qualche volta muovono all'indignazione.
Un sessantenne, addetto ai servizi sociali del comune di Catanzaro,
viene arrestato per aver abusato di una ragazzina di undici anni.
La madre aveva notato che qualcosa non andava, pare che la stessa ragazzina avesse detto qualcosa e ha sporto denuncia alla polizia che, stando alle cronache, aveva trovato il sessantenne e la ragazzina in una casa e lo ha arrestato "
in flagranza per violenza sessuale aggravata".
Questo nel 2010.
Qualche giorno fa leggo sul blog
Sud De-Genere una citazione da un articolo de Il Quotidiano delle Calabria secondo il quale
i giudici della corte di Cassazione, abbiano individuato un’attenuante nell’accondiscendenza
della vittima a consumare rapporti sessuali con l’imputato. Così,
annullata con rinvio la sentenza di condanna a 5 anni di
reclusione per ben due volte inflitti a Pietro Lamberti, rispediscono
gli atti alla Corte di appello di Catanzaro e ordinano un nuovo
processo. [QUI il link a Il Quotidiano della Calabria che racconta la storia.]
Un'attenuante nell'accondiscendenza della vittima a consumare rapporti sessuali con l'imputato.
Leggete di nuovo questa frase.
Stampatevela bene in mente.
E poi pensate a quando avevate 11 anni.
Provate a pensare ad avere 11 anni e dei problemi.
Provate a pensare di essere affidate o affidati ad un adulto, uno "dei servizi sociali" perché vi aiuti.
Forse così riuscirete -riusciremo- a capire lo stato psicologico di una ragazzina di undici anni che ha addirittura temuto di essere rimasta incinta dell'uomo che era stato chiamato ad aiutarvi.
È lo stesso principio della gonna corta, del pantalone troppo stretto, della maglia scollata.
Lei lo amava.
Lei lo chiamava.
Lei gli chiedeva "mi ami?"
Poco importa che lui abbia cinquant'anni più di lei, poco importa che lui aveva il compito di aiutarla.
Vale la pena di leggere tutta la sentenza della
Corte di Cassazione (la riprendo dal blog di Marina Terragni) secondo la Corte di Appello sarebbe stata "superficiale" nel ritenere non concedibile in modo assoluto alcuna attenuante (sottolineature e grassetti sono miei):
Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-10-2013) 08-11-2013, n. 45179
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente -
Dott. GENTILE Mario – Consigliere -
Dott. FRANCO Amedeo – rel. Consigliere -
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere -
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
L.P., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 10 ottobre 2011 dalla corte d’appello di Catanzaro;
udita nella pubblica udienza del 15 ottobre 2013 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. POLICASTRO Aldo, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
udito il difensore avv. Salvatore Staiano.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Catanzaro confermò
la sentenza emessa l’11.2.2011 dal Gip del tribunale di Catanzaro, che
aveva dichiarato L.P. responsabile del reato di cui agli artt. 81 e 609
quater c.p., per avere compiuto atti sessuali con P.P., che non aveva
ancora compiuto 14 anni, e con le attenuanti generiche e la diminuente
del rito lo aveva condannato alla pena di anni 5 di reclusione, oltre
pene accessorie e risarcimento dei danni in favore delle parti civili
F.A. M., P.M., P.L. e P.P..
2. L’imputato, a mezzo dell’avv. Salvatore Staiano, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) nullità della sentenza in relazione all’art. 34 c.p.p., art. 178
c.p.p., comma 1, lett. b), e art. 179 c.p.p.; manifesta illogicità della
motivazione. Ricorda che con l’appello aveva eccepito la nullità
assoluta del decreto dispositivo del giudizio immediato e degli atti
conseguenti, perchè emesso dal Gip che si trovava in una situazione di
incompatibilità per avere già svolto funzioni giudiziali, determinandosi
così una incompetenza funzionale. Non era praticabile la ricusazione
perchè il decreto fu assunto a sorpresa, senza contraddittorio. In
subordine aveva prospettato la illegittimità costituzionale degli artt.
33, 34, 37, 454, 455 e 456 c.p.p., rispetto agli artt. 3, 24, 25. 97,
111, 76 (eccesso di delega, per violazione delle direttive alla L.
delega n. 81 del 1987, art. 2, nn. 67 e 104).
L’eccezione – respinta dalla corte d’appello – viene riproposta in
questa sede. Deduce che vi era incompatibilità ai sensi dell’art. 34
c.p.p., tra il Gip e il Gup che prescinde dalla emissione di atti
definenti una fase o un grado, in quanto l’incompatibilità consiste
nella pregiudicata imparzialità e terzietà del giudice. Nella specie, il
decreto di giudizio immediato, costituendo l’esito di una valutazione
in ordine alla sussistenza o meno della prova evidente al fine di
consentire la contrazione del processo, non può essere assimilato ad una
valutazione sulla ammissibilità della domanda del PM, ma costituisce un
giudizio a tutti gli effetti, tanto che chi emette il provvedimento,
alla stessa stregua di chi emette il decreto di rinvio a giudizio, non
può più esercitare funzioni di giudicante nel medesimo procedimento.
L’atto posto in essere dal giudice incompatibile è inficiato da vizio di
incompetenza funzionale, riguardante la persona fisica del giudice, da
cui deriva una nullità, rilevabile in ogni stato e grado del processo,
che giustifica peraltro un annullamento dell’atto.
In via subordinata, ripropone la eccezione di legittimità costituzionale
degli artt. 33, 34, 37, 454, 455 e 456 c.p.p., per contrasto con gli
artt. 3 (eguaglianza), 24 (effettività della difesa), 25 (naturalità e
precostituzione del giudice), 97 (imparzialità e correttezza degli
organi pubblici), 111 (imparzialità e neutralità della giurisdizione
penale), 76, eccesso di delega per violazione delle direttive di cui
all’art. 2, n. 67, (divieto di esercitare reiteratamente le funzioni di
giudice nello stesso procedimento) e n. 104 della L. d. n. 81 del 1987
(omologazione di tutti gli istituti processuali ai principi stabiliti
per il giudizio).
2) nullità della sentenza in relazione all’art. 453 c.p.p., e
contraddittorietà della motivazione. Ricorda che con l’appello aveva
impugnato l’ordinanza del Gup di rigetto della eccezione: 1) di
inammissibilità della richiesta di giudizio immediato avanzata il
9.9.2010, perchè depositata oltre il termine di 90 giorni dalla
iscrizione ex art. 335 c.p.p., avvenuta nella specie il 25.03.2010 e
comunque di nullità del decreto di giudizio immediato per essere stato
emesso sulla scorta di atti investigativi svolti dopo il termine
specificato, in particolare dell’incidente probatorio svoltosi il
23.07.2010; 2) di inammissibilità della richiesta di giudizio immediato
ex art. 453, comma 1 ter, perchè presentata quando ancora non erano
perenti i termini per proporre ricorso per cassazione del procedimento
incidentale in materia de libertate (era stata applicata misura
cautelare in carcere in data 22.6.2010). La corte d’appello ha respinto
queste eccezioni con motivazione erronea.
E difatti, in ordine alla eccezione di cui al punto 1), l’avere il
giudice territoriale regredito la valutazione del Gip in ordine alla
richiesta di giudizio immediato ad una valutazione di “ammissibilità”
della domanda implicava un consequenziale inquadramento della sanzione,
per l’assenza dei presupposti legali, nel regime della
“inammissibilità”. Se la inammissibilità non viene rilevata in limine,
vale la regola dettata per le impugnazioni dall’art. 591 c.p.p., comma
4, e può quindi essere dichiarata in ogni stato e grado del giudizio.
Non vi è, poi, alcuna causa di sanatoria delle inammissibilità, ne è
pensabile un’estensione delle cause di sanatoria previste per le
nullità. La difesa aveva eccepito l’inammissibilità della domanda di
giudizio immediato del PM per decadenza dei termini di presentazione
della richiesta (90 giorni dalla iscrizione ex art. 335 c.p.p.) ovvero
in assenza anche della perenzione dei termini di impugnazione dinanzi
alla corte di cassazione. Si trattava quindi di inammissibilità.
Peraltro è semplicistico l’automatismo di applicazione della nullità a
regime intermedio considerandolo consequenziale alle nullità di cui
all’art. 178, comma 1, lett. b), laddove si distinguono tra i
presupposti individuati ex lege per l’attivazione di detto rito:
l’evidenza probatoria, che evoca un giudizio di valore, distinguendola
dai presupposti la cui assenza è facilmente verificabile per la loro
oggettività come il mancato rispetto del termine di novanta giorni,
riconducibile all’art. 178, comma 1, lett. c) stante l’evidente
violazione del diritto di difesa. La eccepita inammissibilità della
richiesta di giudizio immediato non è poi sanata dalla scelta del rito,
che non copre eccezioni irrinunciabili.
Ricorda inoltre che la richiesta del Pm ed il provvedimento del Gip si
riferivano all’evidenza della prova e non all’ordine custodiale.
Peraltro la richiesta era motivata, in punto di evidenza della prova,
sulla scorta di atti (in specie l’incidente probatorio), che si
acquisivano dopo il termine di 90 giorni dalla iscrizione del L. nel
registro degli indagati ed erano quindi inutilizzabili. Deduce inoltre
che non è esatto che la richiesta di giudizio immediato di cui all’art.
453, comma 1 bis, implica il superamento della valutazione in ordine
alla evidenza della prova, giacchè il legislatore ritiene quel giudizio
introitato attraverso il titolo custodiale (cfr. art. 273 c.p.p.) che ne
costituisce l’imprescindibile presupposto.
3) nullità della sentenza per violazione dell’art. 609 quater c.p.,
comma 4, e art. 133 c.p.; contraddittorietà e carenza della motivazione.
Lamenta l’erronea negazione dell’attenuante della minore gravità perchè
ritenuta incompatibile con il danno apoditticamente ritenuto subito
dalla minore, e con la condotta in contestazione per la consumazione del
rapporto sessuale, protrattosi nel tempo. In sostanza, secondo la corte
d’appello, non può essere riconosciuta l’attenuante in questione perchè
vi è stata congiunzione carnale e perchè si tratta di minore di 14
anni. Sono state in tal modo introdotte oggettive “eccezioni”
applicative dell’attenuante di cui all’art. 609 quater c.p., non
previste e non volute dal legislatore.
Inoltre, la giustificazione è tautologica. In particolare non si è
considerato che il fatto è avvenuto nell’ambito di una relazione
amorosa.
4) nullità della sentenza in relazione all’art. 62 c.p., n. 6, e art. 133 c.p.; carenza e contraddittorietà della motivazione.
Lamenta la mancata concessione dell’attenuante prevista dall’art. 62
c.p., n. 6, per avere il L. formulato prima che iniziasse il giudizio
un’offerta reale di risarcimento dei danni nei confronti della minore,
dei fratelli, di ciascuno dei genitori e del comune di Catanzaro. La
decisione si basa su affermazioni di principio frutto di mere
supposizioni, quasi ritenendo non ammissibile e riconoscibile
l’attenuante in questione per reati di questa specie. E’ poi
contraddittoria la motivazione sulla determinazione della pena base.
3. In prossimità dell’udienza la difesa ha depositato motivi nuovi con i
quali illustra ulteriormente i punti relativi alla minore gravità del
fatto ed alla offerta reale.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo – con il quale si deduce nullità del decreto
dispositivo del giudizio immediato perchè emesso da giudice che si
trovava in una situazione di incompatibilità ex art. 34 c.p.p., per
avere già svolto funzioni giudiziali – è infondato. Tutto il motivo,
invero, si basa sull’assunto che il compito del giudice non si limitava
ad una semplice constatazione della tempestività ed ammissibilità della
domanda del PM, bensì consisteva in un vero e proprio giudizio sulla
base di una valutazione di merito circa l’evidenza o meno della prova
prodotta.
Si tratta però di un assunto non esatto, perchè nel caso in esame il
giudizio immediato non è stato chiesto e concesso ai sensi dell’art. 453
c.p.p., comma 1, (ipotesi della sussistenza di una prova evidente),
bensì ai sensi dell’art. 451, comma 1 bis (ipotesi che la persona
sottoposta alle indagini si trovi in stato di custodia cautelare). Ora,
rileva il Collegio che, mentre nella prima ipotesi il giudice deve
effettivamente compiere una valutazione di merito sulla sussistenza o
meno di una prova evidente, nella seconda ipotesi invece non deve
effettuare alcuna valutazione di merito, ma si deve limitare a rilevare
se l’indagato si trovi in stato di custodia cautelare e se non sia
trascorso il termine di 180 giorni dalla esecuzione della misura. In
questo caso, quindi, non sono prospettabili (ed infatti non sono state
prospettate) situazioni di incompatibilità che potrebbero incidere sulla
imparzialità e terzietà del giudice. Il motivo deve quindi essere
respinto, anche volendo tenere conto della eccezione del ricorrente che
in questo caso, essendo stato il provvedimento emesso a sorpresa, non
sarebbe applicabile il principio costantemente affermato secondo cui i
provvedimenti adottati dal giudice che versa in una situazione di
incompatibilità non sono affetti da nullità, in quanto le cause di
incompatibilità non incidono sui requisiti di capacità del giudice,
costituendo invece motivo di ricusazione, da far valere nei termini e
modi previsti dalla apposita procedura.
2. Per la stessa ragione, è infondata anche la richiesta subordinata di
sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 33, 34,
37, 454, 455 e 456 c.p.p., in riferimento a diverse norme
costituzionali, che si basa anch’essa sull’assunto inesatto che il
giudice, nel disporre il giudizio immediato, avrebbe compiuto una vera e
propria valutazione di merito circa l’evidenza o meno della prova
prodotta. La proposta questione di legittimità costituzionale è infatti
irrilevante ai fini del decidere perchè non riguarderebbe comunque
l’ipotesi che si presenta nel caso di specie di giudizio immediato
disposto ai sensi dell’art. 453, comma 1 bis.
La questione inoltre sarebbe irrilevante anche per la ragione per la
quale la Corte costituzionale, con ordinanza n. 238 del 2008, dichiarò
inammissibile per difetto di rilevanza analoga questione – avente ad
oggetto l’art. 34 c.p.p., comma 2 bis, in riferimento agli artt. 3 e 24
Cost., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del giudice che
ha esercitato le funzioni di giudice per le indagini preliminari ad
emettere il decreto di giudizio immediato -, ossia perchè non viene
esplicitato in base a quale principio o regola processuale
l’accoglimento della questione determinerebbe la regressione del
procedimento alla fase anteriore all’emissione del decreto di giudizio
immediato.
3. E’ infondato anche il secondo motivo.
Quanto alla dedotta inammissibilità della richiesta di giudizio
immediato perchè depositata oltre il termine di 90 giorni dalla
iscrizione ex art. 335 c.p.p., e comunque per essere stata fondata su
prove inutilizzabili perchè acquisite dopo la scadenza del termine, va
ribadito che nella specie non si è trattato di giudizio immediato
disposto ai sensi dell’art. 453, comma 1, stante l’evidenza della prova,
bensì di giudizio immediato disposto ai sensi dell’art. 453, comma 1
bis, nei confronti di persona che si trovava in stato di custodia
cautelare, il quale prescinde dalla presenza di una prova evidente ed è
soggetto solo al termine indicato dal detto comma 1 bis (180 giorni
dall’esecuzione della misura) e non al termine di cui all’art. 454 (90
giorni dalla iscrizione della notizia di reato).
Secondo la giurisprudenza, invero, “il presupposto dell’evidenza
probatoria, che qualifica l’instaurazione del giudizio immediato su
richiesta del pubblico ministero, non trova applicazione nel caso di
richiesta di giudizio immediato nei confronti di soggetto che per quel
reato si trovi in stato di custodia cautelare” (Sez. 6^, 1.7.2009, n.
38727, Moramarco, m. 244804); “è abnorme, ed è pertanto ricorribile per
cassazione, l’ordinanza con cui il G.i.p. rigetti la richiesta di
giudizio immediato avanzata dal P.M. nei confronti di persona agli
arresti domiciliari ai sensi dell’art. 453 c.p.p., commi 1 bis e 1 ter,
non per l’assenza dei presupposti previsti dalla legge, ma per la
carenza del requisito dell’evidenza della prova, richiesto invece nella
diversa ipotesi di giudizio immediato di cui all’art. 453 c.p.p., comma
1″ (Sez. 6^, 20.1.2011, n. 7912, Guarcello, m. 249476).
Inoltre, “E’ abnorme, perchè determina un’indebita regressione del
procedimento, il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento
dichiari la nullità per qualsiasi causa del decreto che dispone il
giudizio immediato e ordini la restituzione degli atti al P.M., giacchè
non è previsto dalla disciplina processuale un controllo ulteriore
rispetto a quello tipico (art. 454 c.p.p.) attribuito al giudice per le
indagini preliminari al momento della decisione sulla richiesta di
giudizio immediato” (Sez. 1^, 25.10.2007, n. 46761, Gianatti, m. 238506;
conf. Sez. 6^, 10.1.2011, n, 6989, C, m. 249563).
E’ quindi irrilevante ogni considerazione relativa alla utilizzabilità
ed evidenza delle prove nonchè al termine di 90 giorni dalla iscrizione
della notizia di reato previsto dal comma 1.
4. Quanto alla dedotta inammissibilità della richiesta di giudizio
immediato ex art. 453, comma 1 ter, perchè presentata quando ancora non
erano perenti i termini per proporre ricorso per cassazione del
procedimento incidentale in materia de libertate, va ricordato che,
secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte, “La richiesta di
giudizio immediato può essere presentata dal pubblico ministero nei
confronti dell’imputato in stato di custodia cautelare dopo la
conclusione del procedimento dinanzi al tribunale del riesame e prima
ancora che la relativa decisione sia divenuta definitiva.
(Fattispecie nella quale l’ordinanza del tribunale del riesame non era
divenuta definitiva perchè impugnata con ricorso per cassazione)” (Sez.
2^, 6.4.2011, n. 17362, Caputo, m. 250078; conf.
Sez. 1^, 11.11.2010, n. 42305, Alikic, m. 249023; Sez. 1^, 21.12.2011,
n. 3310 del 2012, Liotti, m. 251842; Sez. 2^, 15.6.2012, n. 35613,
Prezio, m. 253896).
5. Infine, per completezza, può comunque ricordarsi che, secondo la
giurisprudenza, “L’omesso espletamento dell’interrogatorio a seguito
dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p., benchè sollecitato
dall’imputato, determina una nullità di ordine generale a regime
intermedio che non può essere dedotta a seguito della scelta del
giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un
effetto sanante della nullità ai sensi dell’art. 183 c.p.p.” (Sez. 1^,
5.5.2010, n. 19948, Merafma, m. 247566; conf. Sez. 6^, 1.10.2007, n.
44844, Arosio, m. 238030; Sez. 6^, 13.10.2011, n. 5902 del 2012,
Adiletta, m. 252065).
6.
E’ invece fondato il terzo motivo, in quanto è in parte erronea e in
parte contraddittoria la motivazione con la quale la corte d’appello ha
negato il riconoscimento della attenuante del fatto di minore gravità di
cui all’art. 609 quater, comma 4. La sentenza impugnata, invero, ha
motivato questa statuizione in considerazione del fatto che l’atto
sessuale consumato dall’imputato costituiva la forma più invasiva e,
pertanto, più grave di lesione dell’altrui integrità psicofisica; mentre
non rilevava che l’imputato non avesse adottato forme di violenza o
coartazione verso la vittima. Erano poi irrilevanti il consenso della
vittima e la circostanza che i rapporti sessuali si erano innestati
nell’ambito di una relazione amorosa.
Ciò perchè il
fatto che il L. avesse potuto provare un amore non meramente filiale
verso la ragazza costituiva un sentimento innaturale, che comunque non
aveva come ineludibile portato il congiungimento carnale. Un tale
sentimento di affetto, anzi, avrebbe dovuto indurre il L. a preoccuparsi
del corretto sviluppo psico-fisico della ragazza. Infine, l’imputato
aveva dimostrato una notevole pervicacia.
In sintesi,
secondo la corte d’appello, al di là delle frasi di stile, l’attenuante
in questione non poteva essere riconosciuta perchè vi era stata
congiunzione carnale e perchè si trattava di una ragazza minore degli
anni quattordici, il cui consenso non rilevava. L’attenuante è stata
quindi esclusa sulla base di elementi in realtà non voluti e non
previsti dal legislatore, nonchè di una giustificazione tautologica.
Invero, esattamente il ricorrente osserva che il reato in esame indica
senza dubbio un disvalore;
tuttavia la
prospettazione di una attenuazione in termini sanzionatori presuppone
che, pur rimanendo fermo quel disvalore oggettivo, si possano ipotizzare
ragioni mitigatorie attenuative, che certamente devono trarsi al di
fuori di questo. La difesa aveva messo in rilievo che nel caso in esame,
come emerge anche dalle sentenze di merito, l’atto sessuale si inseriva
nell’ambito di una relazione amorosa; e che, sebbene l’abuso sessuale
sia sempre connotato da grave invasività fisica, lo stesso nel caso di
specie non poteva ritenersi invasivo allo stesso modo dell’ipotesi in
cui avvenga con forza e violenza e al di fuori di una relazione amorosa,
atteso che nel primo contesto derivano più contenute conseguenze
negative alla minore sul piano psicologico.
La corte
d’appello in sostanza ha omesso di prendere in esame le considerazioni
della difesa, e si è limitata a negare l’attenuante per ragioni che però
non sono conformi alla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo
la quale “la circostanza attenuante fondata sulla minore gravità del
caso è riferibile tanto alle condotte di violenza sessuale (art. 609 bis
c.p., comma 3), eventualmente aggravate per l’età inferiore ai dieci
anni della vittima (art. 609 ter c.p., comma 2), quanto all’ipotesi di
atti sessuali con minorenne di analoga età (art. 609 quater c.p., comma
4, in relazione all’art. 609 ter c.p., comma 2). Ne consegue che la
ricorrenza dell’attenuante non può essere negata per il solo fatto della
tenera età della persona offesa, dovendosi piuttosto individuare dal
giudice elementi di disvalore aggiuntivo, sulla base dei criteri
delineati all’art. 133 c.p., rispetto all’elemento tipico dell’età
inferiore ai dieci anni” (Sez. 3^, 9.7.2002, n. 37656, Capaccioli, m.
223672); “La circostanza attenuante della minore gravità nel reato di
violenza sessuale non può essere negata per il solo fatto della tenera
età della persona offesa (nella specie infradecenne), essendo necessari a
tal fine elementi di disvalore aggiuntivo sulla base dei criteri
delineati dall’art. 133 c.p., comma 1″ (Sez. 3^, 26.1.2010, n. 11085,
D.S., m. 246439) “in quanto, seppure gli atti sessuali commessi in danno
di bambini in tenera età sono reati da considerare gravi per le
ripercussioni negative sullo sviluppo del minore, non può escludersi
che, per le circostanze concrete del fatto, tale delitto possa
manifestare una minore lesività” (Sez. 3^, 10.5.2006, n. 22036, Celante,
m. 234640).
In particolare
la giurisprudenza ha osservato che, premesso che la minore gravità del
fatto può ravvisarsi in presenza di una più lieve compromissione della
libertà sessuale della vittima e dello sviluppo del minore, resta fermo
che essa è il risultato di una valutazione che deve tenere conto di
tutte le componenti del reato, oggettive e soggettive, nonchè degli
elementi indicati nell’art. 133 (Sez. 3^, 1.7.99, Scacchi; Sez. 3^,
3.10.06, m. 235031). Si è, peraltro, precisato che, nell’utilizzare i
parametri di cui all’art. 133 c.p., (ai fini del riconoscimento
dell’attenuate speciale in parola), si deve avere riguardo solo agli
elementi di cui al primo comma in quanto, quelli del secondo comma,
possono essere impiegati solo per la commisurazione complessiva della
pena (Sez. 4^, 4.5.07, m. 235730). Invero, poichè l’attenuante in
discussione non risponde ad esigenze di adeguamento del fatto alla
colpevolezza del reo, ma concerne la minore lesività del fatto in
concreto rapportata al bene giuridico tutelato, assumono particolare
importanza: la qualità dell’atto compiuto (più che la quantità di
violenza fisica), il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le
condizioni (fisiche e mentali) di quest’ultima, le caratteristiche
psicologiche (valutate in relazione all’età), l’entità della
compressione della libertà sessuale ed il danno arrecato alla vittima
anche in termini psichici (Sez. 3^, 29.2.00, Prillo della Rotonda; Sez.
3^, 24.3.00, Improta).
Nella specie, la
corte d’appello, invece, nel respingere la richiesta di attenuante
formulata dal ricorrente, ha focalizzato la propria attenzione solo su
uno (il turbamento e le conseguenze patite dalla vittima anche in
un’ottica futura) dei molteplici aspetti da prendere in considerazione;
per di più, senza nemmeno dare prova di avere ancorato il proprio
asserto su emergenze specifiche (sì che l’assunto si propone quasi come
un’affermazione di principio frutto di mera supposizione). In
particolare, la sentenza impugnata ha focalizzato la propria attenzione
sulla esistenza degli elementi che caratterizzano la fattispecie
criminosa (età e atto sessuale), ritenendoli incompatibili con la
specificata circostanza, senza considerare e valutare gli ulteriori e
attenuativi aspetti della vicenda prospettati dalla difesa, quali il
“consenso”, l’esistenza di un rapporto amoroso, l’assenza di costrizione
fisica, l’innamoramento della ragazza. Sul punto la motivazione è anche
manifestamente illogica laddove riferisce gli effetti della dedotta
relazione sentimentale all’imputato, anzichè alla ragazza. Manca poi la
motivazione sulle ragioni per cui gli elementi addotti dalla difesa non
possano qualificare la “minore gravità”; nonchè in ordine alla c.d.
entità della compressione della libertà sessuale e al danno arrecato
alla minore.
7. E’ fondato anche il quarto
motivo, essendo effettivamente carente e contraddittoria anche la
motivazione con la quale è stata negata l’attenuante di cui all’art. 62
c.p., n. 6, richiesta per avere il L. formulato prima che iniziasse il
giudizio un’offerta reale di risarcimento dei danni nei confronti della
minore della somma di Euro 40.000,00; al fratello della minore della
somma di Euro 5.000,00; di Euro 2.500,00 a ciascuno dei genitori e di
Euro 5.000,00 nei confronti del comune di Catanzaro (che li aveva
accettati).
La sentenza impugnata ha negato l’attenuante avendo ritenuto incongrue
le somme offerte in considerazione della rilevanza e della portata dei
beni interessi, anche di rango costituzionale, oggetto di lesione,
sicchè non poteva assumersi come sufficiente ed idoneo parametro di
valutazione e liquidazione quello equitativo puro, ma dovevano
considerarsi tutte le componenti del danno, ed in particolare la lesione
cagionata alla dignità della minore, attraverso condotte che ne avevano
compromesso il regolare sviluppo psico-fisico e le capacità di
relazione sociale, tenuto conto, sotto tale profilo, della condizione di
isolamento in cui la P. aveva vissuto nel corso della relazione con
l’imputato e della maturazione di un distorto modello di rapporti
interpersonali, foriero di inevitabili conseguenze sull’assetto di vita
della minore. La corte d’appello ha poi parlato di un assetto
psicologico inevitabilmente alterato, con serio e grave pericolo che gli
effetti dello stress post-traumatico si ripercuotano sul futuro della
ragazza condizionandone negativamente e definitivamente l’assetto di
vita personale e di relazione, e ciò pur in assenza di qualsiasi
accertamento descrittivo di vera e propria malattia.
Si tratta di una motivazione meramente apodittica e presuntiva, perchè
si ammette che è mancato qualsiasi accertamento scientifico medico o
psicologico sui danni concreti subiti dalla minore e di motivazione
altresì contraddittoria, perchè si afferma contemporaneamente che la
liquidazione del danno non può basarsi su criteri equitativi, sicchè
dovrebbe fondarsi su basi concrete, che però non vengono individuate nè
scientificamente accertate. La sentenza impugnata, invero, non fornisce
alcuna prova di avere ancorato il proprio asserto su emergenze
specifiche. Manca comunque qualsiasi puntuale e reale valutazione del
danno al fine di poterne definire la capacità risarcitoria integrale
della offerta reale o della manifestata volontà risarcitoria.
Esattamente il ricorrente lamenta che la motivazione si risolve in una
affermazione di principio frutto di mera supposizione, quasi da
ritenersi non ammissibile e non riconoscibile l’attenuante invocata per
reati di questa specie. Fra l’altro, la sentenza non risponde
adeguatamente al motivo di appello con cui si lamentava l’incongruità
della sentenza di primo grado, laddove, pur descrivendo la madre come
colei che aveva “irresponsabilmente soprasseduto su episodi allarmanti” e
il padre come “figura assente nella vicenda”, aveva poi giudicato
incongrua la somma offerta. La corte d’appello, infatti, ha respinto la
censura con mere illazioni, sostenendo che i genitori, oltre alla
disgregazione familiare, avevano subito “una condizione di chiaro
patimento personale derivante non solo dalle serie preoccupazioni, che
nell’ottica genitoriale, le vicende della figlia ponevano loro in
termini di corretto sviluppo psico-fisico della minore, ma anche dalla
negazione del loro ruolo genitoriale rispetto alle scelte ed all’assetto
di vita della figlia minorenne”. Si è però omesso di considerare e
valutare le specifiche contestazioni mosse sul punto dalla difesa, che
aveva eccepito come nessuna preoccupazione genitoriale fosse stata
manifestata nel corso della vicenda che, pur conosciuta dalla madre, si
era lasciato che si protraesse per alcuni mesi. La difesa, in
particolare, aveva specificamente eccepito: che il padre era rimasto
sempre assente ed era comparso solo per chiedere il risarcimento dei
danni; che il comportamento della madre era stato già censurato dal
giudice di primo grado; che il fratellino già non viveva con la sorella;
che la famiglia era già distrutturata prima della comparsa
dell’imputato; che la solitudine della ragazza apparteneva già ad un
vissuto precedente, tanto che dalla sentenza di primo grado risulterebbe
che cercasse il L. proprio per colmare un vuoto affettivo; che pertanto
dovevano considerarsi congrue le somme offerte come risarcimento del
danno, compresa quella di Euro 40.000,00 offerta per la ragazza. La
sentenza impugnata ha in sostanza omesso di rispondere a queste
specifiche eccezioni, e non ha offerto una dimensione quantitativa
derivante da dati fattuali concreti, anche per l’inesistenza di una
consulenza psichiatrica o psicologica sulle conseguenze dannose del
reato.
8. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata in ordine alla
valutazione sul riconoscimento dell’ipotesi attenuata del fatto di
minore gravità e della attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, con
rinvio per nuovo giudizio al giudice del merito.
Il giudice di rinvio, peraltro, dovrà necessariamente compiere una nuova
globale valutazione dell’intero trattamento sanzionatorio, nell’ipotesi
che accolga entrambe, o anche una sola, delle suddette attenuanti.
L’ultimo motivo di ricorso – con il quale si censura anche la
motivazione sulla determinazione della pena base – resta pertanto
assorbito, ma non precluso. Il giudice del rinvio, quindi, anche qualora
ritenesse non concedibile nessuna delle dette attenuanti, dovrà
comunque compiere una nuova globale valutazione del trattamento
sanzionatorio alla luce anche delle eccezioni sollevate con il ricorso
sulla contraddittorietà della giustificazione addotta dalla sentenza
impugnata in punto di perimetrazione della pena base, fissata in misura
alquanto elevata rispetto al minimo edittale. La sentenza impugnata ha
invero giustificato la pena facendo riferimento alla gravità della
condotta ed alla intensità del dolo, anche perchè il L. avrebbe dotato
la ragazza di un cellulare per consentire “comunicazioni protette” e
l’avrebbe indotta a costruire la falsa apparenza di una normale vita di
relazione con un suo coetaneo per celare il proprio rapporto amoroso.
Ciò però contrasta con quanto risulta da entrambe le sentenze di merito,
le quali non indicano elementi di prova in ordine alla premeditazione
nella dotazione del telefonino e nella costruzione di una falsa
relazione con tale A., la quale al contrario viene invece spiegata come
invenzione della ragazza volta a generare gelosie nell’imputato (pag.
2 della sentenza impugnata).
9. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata con
rinvio in ordine alla valutazione sulle richieste attenuanti ex art. 609
bis c.p., u.c., ed ex art. 62 c.p., n. 6, restando assorbito, ma non
precluso, il motivo relativo alla determinazione della pena base.
Nel resto il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio
ad altra sezione della corte d’appello di Catanzaro limitatamente alle
richieste attenuanti ex art. 609 bis c.p., u.c., ed ex art. 62 c.p., n.
6. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2013
Relazione amorosa.
Qualità dell'atto compiuto.
Consenso.
Assenza di costrizione fisica.
Innamoramento della ragazza.
Provo a cercare di capire cosa possa pensare una ragazza di undici anni quando l'uomo che dovrebbe aiutarla a superare i suoi problemi, di cui si fida, al quale riconosce un ruolo, le chiede -non mi interessa il "come" chiede, se con doni, minacce, promesse- di avere una "relazione amorosa", come la chiamano qui.
Non amo entrare nella mente altrui, ma non mi è difficile immaginare che quando si è in una posizione subordinata (e questa lo è!) si possa arrivare a credere alla legittimità di certe richieste, che si possa vedere "amore" in un sessantenne che dice di amarti e vuole fare sesso con te.
Con ogni probabilità non hai gli strumenti per difenderti, per capire, per analizzare quanto sta succedendo.
A quell'età capita di "innamorarsi" degli adulti, è capitato a tutte. E degli adulti si ha fiducia. Quindi come puoi capire che quello che ti sta chiedendo non è legittimo, non è giusto, non è amore?
A questo punto non posso non essere accanto alle donne, a cominciare dalle calabresi, che si stanno organizzando non solo per mantenere alta l'attenzione sulla vicenda, ma per fare qualcosa di concreto, per gridare che una sentenza simile non solo è disgustosa, ma è anche un pericoloso precedente.
#OgniBambinaSonoIo