Ho già scritto tempo fa di quanto io trovi noiosi gli
stereotipi di genere.
Sì, noia e fastidio vanno saltellando felici mano nella mano nella mia testa ogni volta che ne sento uno.
Le donne non sanno guidare; le donne sono più sensibili degli uomini; le donne che lavorano trascurano la famiglia e i figli; le donne cercano gli uomini stronzi; le donne fanno sesso solo per amore; gli uomini che piangono so' froci; l'uomo ha bisogno di scopare, quindi tradisce per necessità; i mariti devono guadagnare più delle mogli, altrimenti si sentono meno uomini.
Ne avete sentiti anche di peggiori e cominciate quasi a non farci più caso, vero?
Il dramma vero, però, è che gli stereotipi di genere non sono semplicemente e soltanto delle immani stronzate: sono delle subdole immani stronzate, che escono fuori quando meno te l'aspetti e sono molto più radicati di quanto si possa immaginare.
E la cosa per me un tempo spiazzante (ormai mi sono abituata) è che non sono esclusiva proprietà di ultrasessantenni conservatori e fascistoidi.
Magari fosse così facile!
Evitati quelli, evitato il pericolo di un travaso di bile. E invece no!
Lo stereotipo di genere ha la caratterisica della trasversalità completa e totale.
Destra, sinistra, età, luogo di nascita, titolo di studio: niente di tutto questo può aiutarti ad individuare da quale bocca uscirà il prossimo stereotipo.
Qualche giorno fa davanti alla macchinetta del caffè in ufficio, una collega, chiacchierando dell'immensa rottura di palle del dover dare una parvenza di decenza all'appartamento dopo una giornata di lavoro, se n'è uscita con un "è colpa del femminismo se adesso le donne lavorano troppo e gli uomini devono aiutare in casa".
Quasi che "aiutare in casa" fosse un'assurdità da femministe demascolinizzanti.
Lo ammetto, le ho risposto malissimo.
Avrei invece dovuto fare un bel respiro, sorridere e spiegarle che per colpa del femminismo lei è potuta andare all'Università e laurearsi in una materia che ancora oggi è considerata prettamente maschile.
O che è sempre per colpa del femminismo se può guidare, votare, viaggiare, vivere da sola senza essere considerata una sgualdrina.
Avrei dovuto dirle che per colpa del femminismo in Italia siamo riusciti ad eliminare quell'abominio del delitto d'onore o che per colpa del femminismo può abortire in un ospedale (chissà fino a quando) invece che su un tavolaccio nella cucina di una mammana che forse la ucciderà tra atroci dolori.
Non riesco a capire il perché del terrore che hanno certe donne per il femminismo.
Davvero, non me lo spiego.
E vado ancora più in bestia quando la risposta è "ho paura di tutti gli -ismi", come se nazismo e fascismo potessero avere qualcosa in comune con comunismo e femminismo.
Dietro agli -ismi ci sono delle idee e mettere sullo stesso piano idee di uguaglianza e diritti per tutti con idee di morte e discriminazione, be', mi pare un po' azzardato.
"Femminismo" non è una parolaccia, non lo sarà mai.
Femminismo vuol dire che una donna si riconosce nel mondo in quanto donna e cerca nelle sue simili la propria essenza.
(Il femminismo ha inizio quando la donna cerca la risonanza di sé nell’autenticità di un’altra donna perché capisce che il suo unico modo di ritrovare se stessa è nella sua specie. Carla Lonzi)
Comunque, oggi ho dato un'altra rispostaccia ad un collega di sinistra (uomo, stavolta) che con un po' troppa leggerezza ha detto, parlando dei tizi che fanno le pulizie qui (un uomo e una donna), che lei pulisce meglio "perché è una donna".
Sono andata in bestia immediatamente. Per fortuna abbiamo un buon rapporto e so che non se l'è presa più di tanto (ah, ma se leggerà questo post lunedì mi sa che un vaffanculo me lo prenderò).
Insomma, sfoderando uno dei miei sguardi più truci, gli ho detto che dire una cosa del genere è -di fatto- affermare che saper passare bene lo straccio è parte del mio patrimonio genetico in quanto portatrice di vagina.
E se è vero (e io non ho motivo di dubitarne) che lui non voleva intendere questo, ma dire che nella sua esperienza non ha mai trovato un buon uomo delle pulizie, perché crede un maschio possa vedere come in qualche modo "demascolinizzante" un lavoro simile (e qui si potrebbe aprire una parentesi infinita), io gli credo, ma mi impunto comunque sulle parole.
Lui ha detto "perché è una donna" e io vado in bestia.
Un po' perché, come insegna
Moretti, le parole sono importanti, un po' perché mi pare assolutamente evidente che ormai certe idee siano talmente tanto radicate nella maggioranza delle persone, che escono fuori anche quando quelle persone vorrebbero significare altro.
Non siamo più bambini, ormai dovremmo saper scegliere le parole.
Abbiamo imparato a dire "omosessuale" invece di "frocio" e "nero" per "negro", eppure non siamo ancora capaci di "pulire" i nostri discorsi quando riguardano le donne e il femminile in generale."Puttana" e tutti i sinonimi vengono usati per descrivere una donna stronza, una donna sessualmente disinibita, la donna che non vuole fare sesso con te, ma con il tuo vicino di casa, la donna che ti supera a destra in macchina, la donna che si è seduta sull'ultimo posto libero sul bus e via così.
Sappiamo che tutto quello che diciamo ha un significato non solo per noi, ma anche e soprattutto per chi ci sta ascoltando eppure, in particolare per ciò che riguarda gli stereotipi di genere, non ci fermiamo a pensare a quello che le nostre parole veicolano.
Dire che le donne sono più brave degli uomini a pulire o a fare l'uncinetto, o a cucinare, vuol dire veicolare un'idea di donna ferma agli anni'50.
La brava massaia felice della nuova lavatrice, che aspetta che il marito torni da lavoro per offrirgli un bicchiere di vino e il giornale del giorno in poltrona mentre finisce di preparare la tavola.
Eppure tutti lo vediamo ogni giorno: ci sono donne, come me, completamente incapaci di usare ago e filo, ma che se la cavano benissimo con piccoli lavoretti di muratura e che amano cucinare pesante. Ci sono donne che sanno a mala pena uscire da un parcheggio e donne che cambiano una ruota bucata in pochi minuti. Ci sono donne che usano chiavi inglesi e cacciavite quasi fossero appendici delle dita e uomini che un cacciavite sanno a mala pena dove comprarlo.
E allora perché non sappiamo descriverle semplicemente per quello che sono?
Perché non riusciamo ad uscire tutti da questa gabbia di stereotipi sessisti?
Cos'è che impedisce ad un uomo di trent'anni, di sinistra, di capire che certe parole, certi atteggiamenti sono in realtà il frutto di un'educazione patriarcale che dovremmo tutti combattere ogni giorno?
Perché le donne, anche e forse soprattutto, quelle di cultura e ceto medio-alti, sono terrorizzate dall'idea che una possa dirsi fieramente e convintamente femminista?
Perché mi si dice che la questione di genere non è di prioritaria importanza politica?
Perché non vogliamo ammettere che affinché il mondo cambi è necessaria anche una nuova educazione non sessista?